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Vi spiego cosa facevano davvero in Siria Greta e Vanessa. Parla il reporter Micalessin

L’organizzazione fai-da-te, le telefonate controverse prima della partenza, i presunti legami con i ribelli, i kit di pronto soccorso che sembrano più che altro equipaggiamenti per militanti armati o guerriglieri. Dal loro rientro in Italia, avvenuto lo scorso 16 gennaio, si sono addensati alcuni interrogativi per alcuni osservatori su Greta Ramelli e Vanessa Marzullo, le due cooperanti poco più che ventenni partite alla volta della Siria per offrire assistenza umanitaria e sequestrate per cinque mesi e mezzo dai rivoltosi armati del Fronte al-Nuṣra.

LE OMBRE DIETRO IL PROGETTO “HORRYATY”

C’è poca chiarezza, ad esempio, su cosa abbia spinto le ragazze a intraprendere una missione così rischiosa senza poter contare sull’aiuto di reti in grado di offrire loro il necessario supporto organizzativo e di copertura, considerando che la loro Ong, Assistenza sanitaria in Siria – Horryaty, conta solo tre membri (di cui due sono proprio loro) e non è presente nell’elenco di quelle riconosciute dalla Farnesina. Ci si chiede, inoltre, quali fossero i reali obiettivi del progetto che, alla luce di quanto emerso dalle intercettazioni dei Ros, appaiono oggi parecchio confusi. E, per alcuni analisti, in parte anche poco umanitari.

GRETA, VANESSA E IL MITO DELLA PRIMAVERA ARABA

Gian Micalessin, reporter di guerra impegnato da anni nelle principali aree di crisi e di conflitto del mondo e giornalista per Il Giornale, nell’articolo “Crolla l’alibi pacifista, ecco tutte le prove delle amicizie jihadiste” ha passato in rassegna tutti gli elementi poco convincenti: dalle telefonate ai kit medici, passando per Horryaty. Micalessin a Formiche.net racconta: «Greta e Vanessa sono due ragazzine anche idealiste e generose ma che si sono nutrite di una serie di miti legati alle primavere arabe, ad esempio che si sia fatta davvero una battaglia per la democrazia e per la libertà e che ci fosse la possibilità di instaurare un Islam democratico». «Idee totalmente infondate – secondo Micalessin – poiché cozzano con l’applicazione della sharia che permea l’intera società, e non considerano che alla base delle primavere arabe c’era lo storico movimento dei Fratelli Musulmani, strenuo oppositore di Bashar al-Assad, egemone anche in Siria, che ha dato poi vita a tutti i movimenti radicali islamisti».

LO SCHIERAMENTO POLITICO SCAMBIATO PER IMPEGNO UMANITARIO

La confusione tra politica e impegno umanitario: «E’ questo l’errore di fondo» per il reporter. «Le due ragazze si sono ispirate a ideali di carattere politico pensando di andare a battersi per una causa molto più grande e alta». E continua: «Greta e Vanessa si sono poste come crocerossine neutrali, caratteristica imprescindibile e tipica di chi agisce come agente umanitario in campo di guerra, ma schierandosi apertamente per una parte, che in questo caso è anche armata», spiega Micalessin che ritiene ci sia stata una vera e propria «collusione ideologica».

INGENUITÀ E ALLEANZE SBAGLIATE

Tanta ingenuità di fondo e la sintonia con una delle parti in causa, che non è sicuramente una delle più affidabili, sono gli elementi che per il giornalista hanno messo in moto questa “missione”: «I fatti testimoniano l’immaturità politica di queste due ragazze che non hanno capito che la parte con cui si sono schierate è quella che ha perso qualsiasi credibilità – spiega -. Sono ormai due anni che circolano i rapporti dello Human Right Watch che parlano dei crimini di guerra commessi dal FreeSyrian Army e soprattutto dei legami e degli accordi tra molti comandanti dell’Esercito siriano libero e i gruppi jihadisti più estremisti. Ma c’è davvero scarsa informazione su questo».

UN’INIZIATIVA AUTONOMA, IMPROVVISATA, SENZA TUTELE

Quella messa su da Greta e Vanessa è per Micalessin «un’iniziativa autonoma, improvvisata, totalmente spontaneista, senza alcuna tutela e garanzia umanitaria, frutto della inesperienza». Tant’è, spiega il reporter a Formiche.net, che «entrambe si son guardate bene dal rivolgersi agli esperti del settore e non si sono rese conto delle conseguenze a cui andavano incontro. Pur specificando che non penso nella maniera più assoluta che siano delle pericolose sovversive – specifica – ritengo che le due ragazze siano state assolutamente sprovvedute, non neutrali e sono andate a mettersi letteralmente nelle mani dei propri carnefici».

L’IMPORTANZA DI CONTATTI AFFIDABILI IN TERRE OSTILI

«In questo tipo di attività una persona di esperienza si sarebbe rivolta a dei contatti sperimentati, conosciuti, sicuri e anche così facendo spesso non sei sicuro» racconta il cronista de Il Giornale. «Si pensi a quello che è successo a Federico Motka – l’ostaggio italiano per cui abbiamo pagato 6 milioni di riscatto, detenuto con James Foley – che è stato rapito perché tradito dai suoi, nonostante lavorasse per un’organizzazione francese molto accreditata e avesse addirittura delle guardie del corpo provenienti da ambienti militari inglesi». «Se è potuto accadere ciò a volontari preparati – spiega Micalessin – figuriamoci a due ragazzine senza nessuna esperienza che si sono intrufolate in una zona, come è la provincia dell’Idlib, molto difficile, in cui ci sono rivalità tra comandanti e dove a fianco dei gruppi che combattono sul terreno ci sono degli autentici delinquenti che hanno approfittato della rivoluzione per commettere traffici, rapine, rapimenti».

INTERCETTAZIONI E COINVOLGIMENTO DI TERZE PERSONE

Sul coinvolgimento di altre persone probabilmente affiliate ai jihadisti, come Mohammed Yaser Tayeb, siriano trasferitosi in provincia di Bologna ed identificato come un militante islamista a cui Greta Ramelli aveva spiegato di voler offrire supporto al FreeSyrian Army, e Maher Alhamdoosh, un militante siriano iscritto all’Università di Bologna, i Ros «faranno le loro indagini sulla base delle intercettazioni raccolte». Ma, si sbilancia Micalessin, «è chiaro che una voce che si sparge su due ragazze che arrivano inermi in un posto come quello può attirare le attenzioni di molti».

I KIT MEDICI DESTINATI AI COMBATTENTI E NON AI CIVILI

Il reporter de II Giornale si dice convinto che le foto dei kit medici mimetici pubblicati sulla pagina Facebook di Horryaty «fanno capire chiaramente che si trattava di attrezzature destinate a combattenti e non a civili». «Un kit di pronto soccorso non viene utilizzato dal personale umanitario – spiega a Formiche.net –. Quei kit contenuti in tascapane mimetici sono i classici equipaggiamenti che vengono utilizzati dalla squadra che segue un gruppo di combattenti. Perché in una situazione di conflitto, un’operazione umanitaria non ha nessun interesse di confondersi con i gruppi armati». La tesi del giornalista è sostenuta dal fatto che, sulla loro pagina Facebook, le due ragazze non danno spiegazione di dove siano finiti questi kit di pronto soccorso se non con un’abbreviazione (“B.”), elemento che per Micalessin lascia intendere si parli di un avamposto militare il cui nome completo non è divulgabile. «Ciò fa capire che quei kit lì erano merce differente rispetto al cibo per bambini o alle semplici medicine», specifica.

OBIETTIVI CONFUSI, RISCHI E CONSEGUENZE  

Ma sulla fan page di Assistenza sanitaria in Siria – Horryaty non sono neppure molto chiari gli obiettivi della Ong. «Questo fa parte della loro confusione di fondo e non mi sento di colpevolizzarle – dice il reporter -, semplicemente avevano una propensione ad essere molto schierate. È la principale colpa che le ha portate a frequentare gruppi pericolosi». «Loro facevano una duplice attività: dispensavano cibo ai bambini e distribuivano kit di pronto soccorso ai gruppi armati. Hanno fatto un po’ di confusione – conclude -: pensavano di operare secondo i canoni dell’organizzazione umanitaria ma di fatto sono andate un po’ al di là del confine. Ed è stato questo che le ha portate a decidere del loro destino».

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