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Perché la Nato rafforzerà le difese di Kiev

Sei centri di comando e 5mila uomini per mettere con le spalle al muro i ribelli filorussi armati dalla Russia di Putin. L’Alleanza atlantica ha deciso oggi di potenziare il suo apparato di difesa sul fianco orientale. Si tratta – notano gli addetti ai lavori – del principale rafforzamento della difesa collettiva dalla fine della Guerra Fredda e il segno più evidente che il nuovo segretario generale dell’organizzazione, Jens Stoltenberg, prende seriamente quanto accade al confine di Kiev.

IL PERICOLO RUSSO

Da Bruxelles, dove oggi si sono riuniti i ministri della Difesa dell’Alleanza, Stoltenberg ha puntato ancora l’indice contro l’atteggiamento aggressivo del Cremlino, colpevole, tra le altre cose, di aver violato la legge internazionale e annesso la Crimea. Ma è la paura di prossimi sviluppi che ha spinto la Nato a intervenire. L’Alleanza, sottolinea l’agenzia Reuters, teme che i l’Orso russo – ferito nell’orgoglio per la sempre maggiore dipendenza dalla Cina e provato economicamente per le sanzioni e il crollo del prezzo del petrolio – stia abbassando la soglia necessaria all’uso di armi nucleari in caso di conflitto, come rivela un’analisi della strategia di Mosca presentata oggi nella capitale europea. Mentre il britannico Guardian rimarca come dietro l’attivismo russo ci sia la volontà, mai abbandonata, di spaccare in più parti l’Ucraina, portandola di fatto nell’orbita di più zone d’influenza, anche agitando lo spettro di una guerra nel cuore dell’Europa democratica.

LE ARMI A KIEV

La consapevolezza della pericolosità e delle ambizioni della Russia è cresciuta di pari passo con i timori degli Stati Uniti, dove s’infoltisce il fronte di chi ritiene prioritario un sostegno concreto alla causa ucraina. Già nei giorni scorsi, sulle pagine del New York Times era trapelato come a Washington, nei palazzi che contano, si moltiplicassero gli endorsement per un invio di armi all’esercito di Kiev. Tra questi il comandante militare della Nato, il generale Philip Breedlove, il capo di Stato maggiore Martin Dempsey e il consigliere per la sicurezza nazionale Susan Rice. Mentre poche settimane fa era stata una voce di peso come quella di Zbigniew Brzezinski, consigliere per la sicurezza nazionale durante la presidenza di Jimmy Carter, è ancora ora uno dei consiglieri più ascoltati dell’amministrazione Usa, a dichiarare pubblicamente che gli Stati Uniti e i loro alleati dovrebbero dispiegare truppe nei Paesi baltici per dissuadere la Russia dal mettere in atto una possibile incursione in quei Paesi. Il governo Usa ha finora fornito al Paese solo assistenza “non-letale”. Ma ieri a rafforzare questa linea è arrivata un’altra dichiarazione di peso, quella di Ashton Carter, designato dalla Casa Bianca per l’incarico di segretario alla Difesa e propenso a iniziare a fornire risorse belliche (mentre oggi il segretario di Stato americano John Kerry è tornato a buttare acqua sul fuoco, auspicando il dialogo con Mosca.

L’ANALISI DI CAMPORINI

Per Vincenzo Camporini – ex capo di Stato maggiore della Difesa, attualmente vicepresidente dell’Istituto Affari Internazionali – quella di armare Kiev potrebbe però essere solo una minaccia da sventolare. “Siamo in un vicolo cieco, in una situazione di stallo che conviene a tutti. L’Occidente non può andare oltre le sanzioni, mentre questo caos aiuta la Russia a impedire che l’Ucraina si avvicini troppo all’Ue e alla Nato“. Secondo il generale l’idea di inviare armi pesanti a sostegno di Kiev non ha senso né tattico, né strategico. “In primo luogo presupporrebbe un addestramento delle Forze Armate, con un programma di medio periodo. E poi sarebbe un gesto di aperta ostilità, al quale il Cremlino potrebbe reagire. Non credo che ci arrischieremo a farlo in assenza di un piano B. Ecco perché credo che ci si trovi di fronte all’ennesimo conflitto congelato“. Propagandistica, per l’ex militare, anche l’aumento dei soldati previsto dall’Alleanza, che avrà come unico scopo quello di “rassicurare i Paesi Baltici“. Una svolta, per Camporini, sarebbe possibile, ma al momento è improbabile. “L’Occidente non sembra intenzionato a mettere sul tavolo l’unica cosa che sbloccherebbe i negoziati: una vera federalizzazione dell’Ucraina che dia vera indipendenza alla zona russofona“.

L’EUROPA CI PROVA

L’Europa, per il momento, segue con poca convinzione una via diplomatica, con François Hollande e Angela Merkel, che proveranno a rilanciare in nome della crisi un asse un po’ usurato e messo in difficoltà anche dagli attriti su austerity e crescita in Europa. Il presidente francese e la cancelliera tedesca sono stati oggi pomeriggio a Kiev e domani a Mosca, per tentare di rimettere la crisi sui binari negoziali e bloccare un’escalation che sembra minacciare scenari di guerra ben più ampi del conflitto in corso da quasi un anno nell’Ucraina orientale.

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