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Tasi, ma non solo. Tutte le folli tasse italiane sulla casa

C’era una volta un Paese in cui un operaio, un impiegato, un insegnante, un pensionato avevano un sogno: comprare la casa dove abitare e, potendo, una seconda casetta dove trascorrere le vacanze con la famiglia. Per quel sogno erano disposti a fare sacrifici e mutui che li accompagnavano tutta la vita.
Chi guardava con diffidenza Borsa e finanza trovava nel mattone un investimento solido e sicuro, che acquistava valore nel tempo, garantiva una piccola rendita e rimaneva in eredità ai figli.
Intorno ferveva un mondo fatto di imprese, artigiani, lavoratori, agenti immobiliari che versavano stipendi, tasse e contributi, pagavano fornitori, alimentavano una catena produttiva, spendevano e investivano.
Poi sono arrivati Ici, Imu, Tasi, Tari (Iuc) che sommandosi a Irpef, imposte di registro, Iva, imposta ipotecaria e catastale, cedolare secca, imposta di successione, si sono abbattuti su quel mondo come un uragano di categoria cinque e, complice la crisi economica, dietro di sé hanno lasciato solo macerie.

E’ così che oggi, dopo un 2014 di lacrime e sangue, pensando agli aumenti che molti comuni si apprestano ad applicare per far quadrare i bilanci e all’imminente revisione del catasto la schiena di tutti gli italiani che possiedono un immobile è percorsa da un brivido gelido.
Credo sia davvero giunta l’ora di gridare a gran voce che la decisione di riversare sulla casa una camionata di tasse riesce ad essere allo stesso tempo spietata, ingiusta e strategicamente sbagliata e che è ora di invertire la marcia.
Spietata: perché colpisce chi non può difendersi: portare all’estero una casa o nasconderla è impossibile. O quasi, se si pensa che nonostante gli sforzi le case fantasma o sconosciute al fisco sono ancora centinaia di migliaia, con concentrazione massima in alcune regioni come Lazio, Sicilia, Campania e Calabria.

Ingiusta: perché punisce chi ha guardato al futuro, risparmiato, fatto sacrifici con soldi già tassati e contribuito a far crescere il paese. I milioni di italiani che hanno comprato una casa per abitarla, trascorrere le vacanze con la famiglia, affittarla per avere una piccola rendita, darla in comodato gratuito a figli talvolta, divorziati, in cerca di lavoro o che lo hanno perso, non sono dei ricchi capitalisti o delle vacche da mungere. Sono il pilastro sul quale continua a reggersi, sempre più a fatica, il paese. E oggi, casomai con una modesta pensione non sono in grado di pagare tutte le tasse e sono costretti a svendere, se ci riescono.
Strategicamente sbagliata: perché ha impoverito il paese, facendo perdere di valore a tutti gli immobili (vi sono aree in cui case, negozi e capannoni valgono la metà di prima o anche meno, e persino svenderli è un’impresa); ha ucciso un mondo che produceva, ha interrotto un flusso di introiti per lo Stato, ha generato maree di disoccupati che ora gravano sulle spalle delle Casse edili o dell’Inps; ha frenato investimenti, risparmi e consumi; ha “congelato” il paese.

Chi volete che compri oggi un appartamento da affittare, con la consapevolezza che, ben che vada, avrà un utile netto di due o tre mensilità all’anno, per di più impazzendo con una burocrazia folle fatta di adempimenti inutili ed assurdi e che poi, se l’inquilino è moroso, si troverà a pagare oltre alle imposte pure tutte le utenze e le spese condominiali, ad attendere almeno un anno per uno sfratto esecutivo e a rimetterci pure le spese legali e per l’avvocato?
E con un simile quadro, invece cercare una via per uscire dal pantano, oggi si pensa di aggiornare le rendite catastali. Speriamo che chi governa non usi trucchi e assicuri un adeguamento che tenga conto del reale valore degli immobili. Considerando che dal 2009 i prezzi e le compravendite sono in caduta libera, temo che non sarà così. Come pure temo non vi sarà alcuna seria volontà di colpire gli evasori.
Se vogliamo che l’Italia riparta occorre ricreare fiducia, riportando la tassazione sugli immobili ai livelli del 2011, semplificando gli adempimenti e garantendo agli italiani almeno 10 anni di “pace” fiscale. Diversamente, è illusorio pensare che provvedimenti come lo Sblocca Italia possano servire a qualcosa: rendere più agevoli le procedure per le nuove costruzioni e le ristrutturazioni ha un senso solo se c’è qualcuno che investe e che compra.

E i soldi dove li troviamo? Non voglio parlare della spending review, che non si capisce che risultati abbia prodotto né che fine abbia fatto. Mi limito a dire che una decina di miliardi potrebbero essere trovati eliminando l’obolo degli 80 euro in busta paga, che non è servito a nulla se non in funzione elettoralistica; e che recuperare l’evasione si può, basta continuare a volerlo, riprendendo l’opera di censimento e controllo avviata alcuni anni orsono e che nel 2013 si è conclusa con l’emersione di 1,2 milioni di immobili prima sconosciuti al fisco, concentrandosi sulle aree a più elevata densità di abusi (quelli veri, non quelli formali o di piccolo livello, come i cambi di destinazione), superando timori e complicità.

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