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Vi spiego la lotta di classe che cova in Libia. Parla l’imprenditore Piacentini

Nel 2013, poco dopo la rivoluzione contro il regime di Muammar Gheddafi, la Libia è stata una calamita per gli investimenti stranieri. Ma la ridistribuzione delle ricchezze in cui hanno creduto i giovani libici non è avvenuta e il Paese è ripiombato nel caos.

NON SOLO ISIS

Per Dino Piacentini, presidente di Aniem, un’azienda italiana di costruzioni che lavora prevalentemente all’estero ed è presente in Libia, è stato quello il più grande errore commesso in Libia: avere tolto la speranza ai giovani libici che si erano battuti per un futuro migliore.

Ora la situazione a livello di sicurezza è critica, ma la vera minaccia non è l’invasione dei taglia-teste dello Stato Islamico. Loro sono soltanto il terzo incomodo che si approfitta della situazione. In Libia la vera minaccia è la lotta interna tra classi, due fazioni della società che si scontrano: quella del governo di Tobruk e il governo di Tripoli.

LOTTE INTERNE

In un’intervista con Formiche.net, Piacentini spiega che il mondo non ha capito che “in Libia era in corso una lotta di classe. Ora ci sono due governi, due visioni della Libia. In quel Paese il conflitto non si basa sul fatto se ci sia più Islam o meno Islam. Il governo di Tobruk rappresenta la parte più occidentale, incline al business, la popolazione più ricca, mentre il governo di Tripoli è il popolo minuto, giovani e famiglie di lavoratori che sono cresciuti sotto la dittatura di Gheddafi e si sono trovati abbandonati, costretti a gestire una transizione democratica. Due mondi diversi in conflitto”.

LA RIPRESA DEL 2013

Piacentini ricorda che nel 2013 le enormi riserve valutarie che ha la Libia sembravano garantire un percorso di sviluppo. Così, lui e tanti altri hanno deciso di investire. La sua azienda è impegnata nella costruzione del porto di al-Zwara e non vuole mollare nonostante i rischi. Negli ultimi mesi però tutte le attività del Paese si sono congelate, non si produce nulla e i libici sono attanagliati dalla paura. La Libia è diventata un luogo dove è difficile restare.

GIOVANI DELUSI

Piacentini è netto: l’Occidente ha abbandonato la Libia dopo l’intervento militare del 2011.“La mia riflessione, e quella dei ragazzi laggiù con i quali ci confrontiamo sempre – dice – è che i ragazzi di 30-40 anni sono cresciuti sotto un regime dove per fare carriera, studiare o avere lavori di un certo livello bisognava fare parte di un gruppo di privilegiati. Si sono ribellati a questo sistema con la rivoluzione e tra il 2012 e il 2013 c’è stata l’illusione di una ripresa, di una distribuzione giusta delle ricchezze del Paese. Dopo, i progetti non sono più partiti e i giovani – ancora immaturi – sono rimasti delusi, e hanno preso le armi, ribellandosi ancora”.

IMPEGNO OCCIDENTALE

Nonostante l’anno scorso siano stati sequestrati quattro lavoratori, in Libia ci sono ancora i dipendenti dell’Aniem, impegnati nella costruzione del porto. “Siamo abbastanza lontani dal pericolo, e a pochi chilometri dalla frontiera con la Tunisia, ma la situazione deve essere monitorata non ogni giorno ma ora per ora. Al di là del fatto che i nostri lavoratori sono sul posto, penso che l’Italia deve essere in prima fila nel processo diplomatico”, ha detto Piacentini.

IL RITORNO DELLA SPERANZA

Ma era inevitabile la crisi della Libia? Secondo l’imprenditore sei mesi fa era possibile trovare un’uscita politica. Con trattative fatte da parte delle Nazioni Unite e l’Unione europea per riunificare il Paese. Ora l’infiltrazione dello Stato Islamico aumenta le difficoltà e le violenze.

Per l’imprenditore italiano, la reazione dell’Egitto è comprensibile, anche se non necessariamente condivisibile, perché il caos libico è alle porte di casa e in questo senso anche la Russia potrebbe avere interessi geopolitici ed industriale nella regione. Piacentini sostiene che “ai libici è stato tolto il sogno di un futuro migliore. E la comunità internazionale, specialmente l’Italia, deve impegnarsi per contribuire a fare una cultura della speranza”.

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