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Cosa penso di Mattarella e del Jobs Act. Parla Bregantini (Cei)

Jobs Act? Occorre concentrarsi sulla flessibilità in ingresso sul lavoro, magari con sgravi fiscali per le aziende che assumono giovani. Giancarlo Maria Bregantini, arcivescovo di Campobasso-Boiano, presidente della commissione Cei Giustizia e pace, problemi del lavoro e salvaguardia del creato, parla con Italia Oggi a margine dell’incontro dedicato agli studenti dei Collegi sul tema della carità tenutosi ieri all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Ecco che cosa ha detto:

Ora che abbiamo il Jobs Act, quale può essere la risposta che può dare la Chiesa?

Le riflessioni che facciamo come Chiesa guardano lontano. Specialmente attorno al tema di fare in modo che la precarietà diminuisca al massimo per fare spazio alla flessibilità. Il passaggio dalla flessibilità alla precarietà (temutissimo già con la legge Biagi) ha creato pasticci. Perché praticamente ovendo arbitrare tra i due poli (flessibilità e precarietà) si è scivolati nella precarietà. Ora bisogna tornare alla flessibilità, cioè le qualità di ciascuno che sanno adattarsi a una legislazione che in quale modo fermi la precarietà.

E quindi?

Questo è il punto: sul piano tecnico-operativo alcuni passaggi sono stati già attuati, e quindi sostanzialmente guardo ad essi con simpatia. Soprattutto guardo con simpatia e chiedo che la società italiana si preoccupi meno della realtà di uscita dal mondo del lavoro, ma di ingresso. Il problema non è dibattere sull’art. 18, ma fare in modo che tutti i ragazzi abbiano modalità di ingresso nel mondo del lavoro, di esperienza della propria capacità lavorativa, favorire, premiare gli ingressi. Sia per chi investe che per chi è coinvolto come lavoratore. Fare in modo che i ragazzi possano lavorare, magari con un monte ore minore: sei anziché otto, o quattro. Però dentro un gioco in cui l’azienda che assume due lavoratori da quattro ore, e che può essere aiutata con sgravi fiscali.

C’è uno spazio di manovra per la politica cattolica, ammesso che esista?

Eh! Non è più data da schemi o etichette, ma contenuti. Su questo punto, riforma del lavoro, della giustizia, della Rai, della Scuola, occorre che il mondo cattolico elabori delle linee. Troppo le elaborano i partiti, poco le università; penso al ruolo dei circoli culturali, della Chiesa. Non da sola, perché non è un cardinale che decide. Questo è che ci manca: ci manca quello che fanno qui (all’Università Cattolica, ndr), tradurre la fede in cultura.

Con l’elezione dell’attuale Presidente della Repubblica c’è chi ha detto, anche nel mondo cattolico, che è finita l’ingerenza della Cei sulla politica italiana. Lei che ne pensa?

Nooo, ma che c’entra la Cei? È una battuta infelice. Invece siamo felicissimi di questa scelta. Vedo in lui tre ragioni di una scelta molto bella: la sua nomina è nata da una corale adesione. Secondo: viene dal Sud, da Palermo, dalla mafia affrontata e combattuta. È un uomo del Sud ed è un uomo che ha conosciuto la sofferenza. Terzo: ha valori profondi sul piano cattolico. Queste tre cose lo rendono particolarmente vincente.

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