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Vi spiego perché Putin ha le ore contate. Parla Carlo Pelanda

La visita di Matteo Renzi a Vladimir Putin è stata una scelta opportuna dal punto di vista strategico, ma arriva forse nel momento sbagliato: a breve il leader indiscusso della politica russa potrebbe essere rimosso dal potere. È lo scenario delineato da Carlo Pelanda (nella foto) – esperto di relazioni internazionali ed editorialista del Foglio e di Libero – che, in una conversazione con Formiche.net, spiega perché il Cremlino potrebbe essere presto abitato da un nuovo “zar”.

Professore, come valuta strategicamente la visita di Renzi a Mosca?

È una mossa giusta, per almeno tre motivi. Il primo è che il nostro premier da tempo stava ricevendo pressioni formidabili da parte delle imprese italiane per mettere a posto alcune partite con la Russia: Finmeccanica, Eni, ma anche da parte di altri settori colpiti dalle sanzioni. Il secondo è che Mosca è uno degli attori principali con cui l’Italia deve convergere per trovare una soluzione alla crisi libica. E la terza ragione è che noi abbiamo carte importanti da giocare in questa partita e bisognava dare un doppio segnale in riferimento ai rapporti con la Russia. Uno a Germania e Francia, lasciando intendere che l’Italia non può essere lasciata fuori dai grandi accordi europei. E un altro agli Usa, ai quali ha fatto capire che non possono fare business sotto banco con Mosca. Quello che ritengo sbagliato di questa visita è invece il momento in cui è avvenuta.

Cosa intende?

A Mosca sta succedendo qualcosa di grosso, è evidente. Credo ci siano possibilità che tra un mese Putin non sia più il presidente russo. Le sanzioni non sono tanto indirizzate all’economia russa, quanto a colpire l’entourage del presidente e le élite del Paese e stanno producendo un effetto. L’opaco omicidio di Boris Nemtsov ne è un segno. Il segnale è chiaro: Putin è finito, abbandonatelo e vi arricchirete ancora di più. Ostacolateci e colerete a picco con lui.

E questo cosa c’entra con la tempistica della visita?

La nostra politica estera, spesso sottovalutata a sproposito, si è sempre caratterizzata per alcune caratteristiche intelligenti, come quella di tenere buoni rapporti con tutti. Noi dobbiamo comunicare la sensazione che chiunque ci sarà a Mosca domani, per noi andrà bene, a patto che i nostri interessi siano tutelati. Probabilmente i nostri Servizi d’intelligence hanno raccolto prove abbastanza concrete che la caduta di Putin potrebbe non essere così vicina come tutto lascerebbe intendere. Sono stati presi impegni importanti sia sul piano economico sia della sicurezza, ed è importante che chi li ha firmati con noi rimanga al suo posto o tutto potrebbe essere rimesso in discussione. Ecco perché bisogna essere come minimo prudenti tanto nei gesti quanto nelle parole.

Il presidente del Consiglio lo è stato durante la sua visita?

Si vede che è ancora acerbo nelle relazioni internazionali, ma è stato ben consigliato. Ha costellato la sua visita di messaggi simbolici. Prima è andato in Ucraina per sottolineare il supporto dell’Italia alla linea occidentale. Poi si è recato a posare dei fiori in omaggio all’oppositore morto, per comunicare la sua non subalternità. E infine ha incontrato Putin, senza entrare a gamba tesa nelle questioni. Tutti segnali di neutralità e di primaria salvaguardia del nostro interesse nazionale.

Sulla stampa italiana Renzi è stato criticato perché, secondo alcuni osservatori, avrebbe riabilitato internazionalmente Putin andandolo a trovare. Che ne pensa?

Sicuramente la visita non è stata concordata con Francia e Germania, con cui c’è un’aperta rivalità ma Obama ne era al corrente. Ritengo improbabile che un premier italiano faccia una visita così importante, che spacca il fronte europeo, senza aver fatto prima una chiacchierata con Washington. Tra Usa e Federazione russa i rapporti sono tesissimi e l’Italia è considerata dalla Casa Bianca l’unico interlocutore affidabile in grado di fare da ponte con Mosca. E Roma ha intelligentemente percepito che l’America ha bisogno di lei in alcuni dossier. Nel rapporto con l’Egitto, ad esempio, che stiamo coltivando da tempo; senza dimenticare che siamo l’unico Paese a dialogare con altissima intensità sia con l’Iran sia con Israele. Probabilmente tra Italia e Stati Uniti c’è qualche divergenza su come affrontare la crisi libica e sul ruolo che la Russia potrebbe avere in quel frangente. Vedono con diffidenza l’espansione russa nel Mediterraneo, compreso il recentissimo accordo con Cipro per la presenza nei suoi porti della Marina di Mosca. La visita italiana non è avvenuta a caso. Roma è in grado di intervenire e qualcuno gli ha chiesto di farlo.

Chi ha chiesto a Palazzo Chigi di farlo?

Tutti, credo. Un po’ gli Stati Uniti, come ho detto, ma probabilmente anche Putin. Il presidente russo sente il fiato sul collo e cerca di sopravvivere politicamente, ma non credo che l’Italia debba impegnarsi per farlo. Andrebbe contro i nostri interessi. Se la situazione si destabilizzerà ulteriormente, sarebbe più utile che si rivolgesse alla Chiesa Ortodossa, che potrebbe a sua volta chiedere supporto alla Chiesa Cattolica. Ciò potrebbe costituire un ultimo tentativo di essere riabilitato internazionalmente.

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