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La guerra nucleare di Bruxelles contro il putinismo dell’Ungheria di Orban

I rapporti già incandescenti tra il Cremlino e Bruxelles sono tornati a infiammarsi a Budapest, nuovo sfogo delle tensioni che in queste ore destabilizzano Kiev. L’affondo, secondo il Financial Times, sarebbe arrivato da Euratom, che avrebbe bloccato l’accordo atomico da 12 miliardi di euro tra Ungheria e Russia. La mossa – poi smentita – avrebbe fatto infuriare Vladimir Putin e al tempo stesso messo uno sgambetto al padre-padrone della politica ungherese, il presidente Viktor Orbán, da tempo ai ferri corti con l’Ue.

L’ACCORDO BLOCCATO

Lo stop all’intesa, annunciato dal giornale britannico, è stato poi negato sia da Bruxelles sia da Budapest. Russia e Ungheria hanno deciso lo scorso anno la costruzione di due reattori nucleari da 1200 megawatt nella città di Paks, 75 km a sud della capitale ungherese. Ciò, secondo il quotidiano finanziario, consentirà a Mosca di “estendere le sue relazioni economiche nel cuore dell’Europa” e, “secondo i critici di Orbán, di aumentare la già pesante dipendenza energetica” di Budapest dalla Russia.

L’ANALISI DI ELEONORA POLI

La tesi trova concorde Eleonora Poli, ricercatrice di area Europa dell’Istituto Affari Internazionali. A Formiche.net, l’esperta spiega che “a parte le questioni tecniche di regolarità dell’accordo tra Ungheria e Russia, a livello europeo c’è una diffusa percezione che Putin stia usando la politica energetica per dividere l’Europa. Infatti, se l’accordo dovesse essere ritenuto regolare dalla Commissione, questo aumenterebbe la dipendenza energetica ungherese verso Mosca, sminuendo così nel tempo il consenso europeo attorno alle sanzioni imposte alla Russia per la questione ucraina. Se invece venisse bloccato, il governo di Orbán avrebbe due opzioni: potrebbe decidere di negoziare un nuovo accordo, oppure intraprendere un’azione legale contro la Commissione europea. In entrambi i casi, non solo le relazioni tra Bruxelles e Budapest sarebbero sottoposte a forti tensioni ma anche i rapporti tra Bruxelles e Mosca si incrinerebbero ulteriormente, alimentando allo stesso tempo, il dissenso dei partiti euroscettici contro “tutte quelle politiche anti-russe” mosse dall’Ue“.

LA STRATEGIA DEL CREMLINO

Tra Bruxelles e Mosca la tensione rimane però alta. Se l’accordo dovesse davvero saltare, l’Unione europea avrebbe inviato così un messaggio chiaro a Putin: l’Ue è pronta a tirare fuori le unghie se le ingerenze di Mosca nei suoi confini continueranno. Nei giorni scorsi era stato il Los Angeles Times – uno dei quotidiani americani più attenti ai temi di difesa e sicurezza – a rilevare come la strategia del presidente russo per condizionare le sorti della crisi di Kiev stesse mutando. Secondo il giornale statunitense, l’incontro con Matteo Renzi a Mosca, il sostegno alla Grecia, l’accordo della Marina russa con Cipro e anche l’intesa nucleare con Budapest non sono episodi slegati tra loro, ma tasselli di uno stesso mosaico. Dopo il fallimento dell’escalation militare nell’Est ucraino, il Cremlino starebbe infatti giocando a spaccare in due l’Ue e minare la sua alleanza con gli Usa, facendo leva sulle difficoltà economiche di alcuni Paesi del Vecchio continente.

LA QUESTIONE UNGHERESE

In un quadro già di per sé preoccupante, la situazione ungherese, per molti osservatori, lo è forse ancor di più. Che succede a Budapest? Secondo Vox Europ, nel 2010 il primo ministro Orbán è tornato al potere e forte del sostegno dei due terzi del Parlamento e del partito di estrema destra Jobbik “ha messo sotto controllo i poteri legislativo, giudiziario ed economico, sta facendo pressione sui mezzi d’informazione e utilizza toni decisamente nazionalisti“. Il leader “appare più ansioso di proteggere l’egemonia del suo partito Fidesz che di difendere le acquisizioni della democrazia postcomunista e più ispirato dalla nostalgia per una Grande Ungheria nazionalista, poco compatibili con l’Unione europea, della quale il suo Paese fa parte dal 2004“. “Molti“, sottolinea la testata specializzata su temi europei, “chiedono sanzioni contro Budapest e addirittura l’espulsione del Paese” dal recinto comunitario. Ma il primo ministro non molla e lo scorso 18 febbraio, rompendo un fronte europeo che al leader del Cremlino ha rivolto soprattutto reprimende e sanzioni, lo ha ricevuto con tutti gli onori nella capitale ungherese. In una delle fasi più acute dall’inizio della crisi ucraina, Orbán ha più volte indicato la Russia come esempio della “democrazia illiberale” che punta a costruire in Ungheria. Putin ha certamente gradito; Bruxelles (e Washington) un po’ meno.

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