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Vi spiego perché il QE della Bce è sbilanciato a favore della Germania

Grazie all’autorizzazione del gruppo Class Editori e dell’autore, pubblichiamo l’analisi di Guido Salerno Aletta uscita sul quotidiano Mf/Milano Finanza diretto da Pierluigi Magnaschi

La Cassa Depositi e Prestiti, con ogni probabilità, dovrebbe entrare tra le agenzie riconosciute dalla Bce, i cui titoli possono essere acquistati nell’ambito del Quantitative easing al secondo round. La decisione finale sarà presa dal Consiglio direttivo Bce del 15 aprile, ma l’inclusione della Cdp sembra ormai vicina, secondo quanto risulta a MF-Milano Finanza che nei giorni scorsi aveva sollevato il paradosso dell’esclusione della Cassa dalle agenzie elette.

La Banca d’Italia ha chiarito in un documento che la lista delle agenzie «è stata inizialmente determinata, per ragioni di urgenza, sulla base dei previgenti criteri quantitativi e qualitativi previsti dal collateral framework dell’Eurosistema. Gli enti che, sulla base dei menzionati criteri, non godevano di tale status (inclusa l’italiana Cassa Depositi e Prestiti) sono quindi, al momento, automaticamente esclusi». Anche un portavoce della Bce ha chiarito che la lista delle agenzie riconosciute ammissibili per il Qe «è un primo elenco, basato sulla lista attuale delle agenzie riconosciute nella seconda categoria di haircut nel quadro delle garanzie dell’Eurosistema».

Queste agenzie «soddisfano criteri specifici, che sono sia di tipo qualitativo, riferiti cioè alla struttura proprietaria, all’ambito di attività e alla presenza di garanzie statali, sia di tipo quantitativo, riferiti cioè al valore in circolazione delle attività stanziabili emesse dall’agenzia». Inoltre il portavoce ha precisato che «agenzie la cui attività principale è l’asset management sono state omesse». Questo primo elenco di agenzie, ha concluso, «può essere modificato sulla base di una valutazione approfondita di tutte le implicazioni, comprese le considerazioni di politica monetaria e le questioni relative alla gestione del rischio. La Bce comunicherà l’esito di tale analisi a tempo debito».

Era in effetti assurdo e illogico che la Cassa Depositi e Prestiti non fosse menzionata dalla Bce tra le istituzioni che emettono titoli stanziabili nell’ambito del Qe. La ragione di questo mancato inserimento tra le istituzioni riconosciute, al di là delle versione ufficiale fornita ieri da Francoforte, sembra legata al fatto che i Buoni fruttiferi postali emessi non sono quotati su un mercato secondario, anche se sono prontamente e pienamente rimborsabili alla pari dall’emittente. Una penalizzazione curiosa e per certi versi inaccettabile.

C’è un aspetto chiave, espresso dalla parola «marketable» nel comunicato della Bce che individua i titoli acquistabili da parte delle singole banche centrali nazionali, e che fa saltare tutte le certezze italiane di poter usufruire a pieno della liquidità immessa con il Qe per finanziare nuovi investimenti pubblici: i titoli devono essere commerciabili. I Buoni postali fruttiferi emessi finora, invece, non lo sono, per il semplice motivo che i sottoscrittori non ne hanno alcun bisogno: hanno un vantaggio in più, enorme, rispetto a qualsiasi altro detentore di titoli di debito. I titoli postali sono sempre e comunque rimborsabili prima della scadenza presso tutti gli uffici postali, su semplice richiesta. Per questo non c’è un mercato regolamentato, su cui venderli: più che inutile, sarebbe ridicolo cercare di venderli al miglior offerente sul mercato, se il debitore stesso ha già garantito fin dall’inizio di essere sempre pronto a rimborsarli alla pari.

Questo è un paradosso, anzi una vera beffa per l’Italia, che ora i regolatori stanno cercando di correggere in corsa. Perché discriminare una garanzia assoluta, che non è mai venuta meno a favore dei risparmiatori sin dal 1925, data di inizio delle emissioni della Cdp, rappresentata dalla certezza di vedersi restituito in qualsiasi momento il capitale prestato? Non essendoci mercato secondario, la Banca d’Italia non può comprare i Buoni postali fruttiferi da chi li ha già sottoscritti e quindi la Cdp non può approfittare dell’intero ammontare della liquidità disponibile per finanziare nuovi investimenti. La soluzione più semplice sarebbe stata prevedere la sottoscrizione diretta sul mercato primario dei titoli della Cdp, già al momento dell’emissione, come un qualsiasi altro sottoscrittore: un meccanismo semplice, chiaro, senza incertezze. È quello che ha fatto la Fed americana con i titoli del Tesoro, quando li ha acquistati sul mercato primario durante il Qe3. La liquidità immessa acquistando titoli della guidata dall’ad Giovanni Gorno Tempini deve servire a fare investimenti, non a fornire liquidità ad altri operatori, magari per speculare: comprando direttamente dalla Cdp, si avrebbe questa certezza, mentre comprando titoli sul mercato secondario non si saprà mai dove andrà a finire la liquidità.

Non è casuale, quindi, il lancio proprio in questi giorni di un bond Cdp offerto al mercato retail, collocato per la prima volta al di fuori della tradizionale rete degli uffici postali, per il controvalore di 1 miliardo di euro. Il bond, si precisa, verrà quotato sul Mot. Ma per le Poste, che si accingono alla quotazione in borsa, è un segnale pericoloso: se perde la storica esclusiva del collocamento dei titoli della Cdp, il suo valore di mercato ne soffrirà assai.

È auspicabile, come ventilato ieri, che l’inserimento della Cassa Depositi e Prestiti avvenga al più presto, in occasione della prossima riunione del board dei Governatori della Bce, ma il precedente è comunque un macigno. Basta fare due conti. All’Italia spetta una quota del Qe corrispondente alla sua partecipazione al capitale della Bce: tenendo conto che la ripartizione si riferisce solo alle banche dell’Eurozona, dovremmo essere attorno al 17% delle disponibilità. Togliendo dai 60 miliardi mensili di nuova liquidità il 20% riservato agli acquisti di titoli emessi da istituzioni sovranazionali e internazionali e agli acquisti di Abs e Covered bond già effettuati, vanno ripartiti 48 miliardi. Di questi, circa 8,2 miliardi mensili spetterebbero a Banca d’Italia, tra titoli di Stato ed emissioni delle istituzioni qualificate.

Finora, la Bce ne ha individuate sette, due francesi, una spagnola e ben quattro tedesche, tra cui la Kfw, istituzione omologa alla Cdp. Se pure quest’ultima venisse presto inserita nell’elenco, l’ammontare massimo di ciascuna futura emissione della Cdp acquistabile, in quanto commerciabile, rimane comunque del 25%. Della prima emissione che girerà sul Mot, quindi, se ne potranno comprare al massimo 250 milioni. Anche ipotizzando una successiva emissione di altri 3 miliardi, si arriva ad appena 1 miliardo tondo. È una miseria rispetto alle potenzialità del Qe. Sembra il paradosso di Zenone, quello in cui Achille rincorre la tartaruga: per quanto Achille vada forte, non la raggiungerà mai. Per quanto la Cdp sarà veloce nell’emettere titoli, non agguanterà mai le disponibilità del Qe.

Occorre dunque eliminare la clausola «marketable» e il tetto del 25% per ciascuna emissione. Il Qe è troppo sbilanciato a favore della Germania: contribuisce alla svalutazione dell’euro, rendendo ancora più competitivo l’export tedesco; fa pagare, anziché incassare interessi, alla banca centrale il costo del debito pubblico della Germania, visto che offre rendimenti negativi; immette liquidità nel suo sistema finanziario che verrà usata per fare incetta di aziende all’estero.

Bisogna rimettere in discussione le regole del Qe relative agli acquisti del programma di titoli pubblici: la liquidità deve essere destinata alle istituzioni che, come la Cdp, emettono titoli di debito per effettuare investimenti nell’economia reale.

Non si può aspettare che lieviti il panettone del Piano Juncker, al cui fondo iniziale l’Italia si è impegnata a partecipare con un contributo di ben 8 miliardi di euro a carico della Cassa. Un contributo che priva il Paese delle risorse indispensabili al successivo cofinanziamento, che viene richiesto per attivare i singoli progetti. Non si fa altro che aggravare la cronica carenza di risorse nazionali che da anni penalizza l’operatività dei fondi europei Fesr. È assurdo che la Cassa partecipi al finanziamento del Piano Juncker ma non sia stata considerata idonea dalla Bce. Giorno dopo giorno, invece di recuperare risorse, l’Italia le cede in attesa di chissà quale roseo futuro: serve un quadro chiaro, netto e definito delle ragioni del nostro dare e del nostro avere.

Le regole attuali penalizzano l’Italia ingiustamente e inutilmente. Ma adesso forse ci si ravvede.

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