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Ecco sfide, pregi e rischi del Jobs Act

Il gambler Renzi ha deciso di puntare tutto sul contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, rendendolo appetibile anche sotto il profilo economico.

Come per tutte le scommesse, è difficile prevedere come andrà a finire. Proverò comunque a delineare un possibile scenario, muovendo da tre aspetti rilevanti del “nuovo contratto”.

Primo: non siamo di fronte ad un contratto di nuovo conio, ma al vecchio e rassicurante lavoro subordinato di codicistica memoria che tutti conosciamo, alleggerito in uscita. Niente a che vedere, per intenderci,  con il codice semplificato proposto da Pietro Ichino. La “convenienza” normativa rispetto al contratto standard sta dunque tutta nel minor costo del licenziamento e questa convenienza diminuisce man mano che il rapporto prosegue.

Secondo: il “nuovo contratto” si applica solo ai neoassunti.

Terzo: alle nuove assunzioni a tempo indeterminato la legge di stabilità 2015 collega un forte incentivo, prevedendo l’esonero contributivo totale per tre anni con un risparmio fino a 8.060 € all’anno (che non entrano “in pancia” all’INPS) e la deducibilità del costo del lavoro dei nuovi assunti dalla base imponibile IRAP (peraltro con contestuale innalzamento generalizzato dell’imposta, per di più con effetto retroattivo).

L’impressione è che sotto l’impianto si nasconda un ben preciso disegno del premier: favorire in tutti i modi un’impennata delle assunzioni a tempo indeterminato nel breve periodo, per potersi appuntare, casomai in vista di una possibile campagna elettorale, la “spilletta” del creatore di occupazione stabile (o presunta tale). Costi quel che costi.

Bisogna infatti considerare alcune incognite di medio periodo.

Innanzitutto il  timore di passare ad un regime di minori tutele renderà i lavoratori attualmente occupati molto più attaccati al loro posto, inasprendo i contenziosi, ostacolando la mobilità tra imprese e rendendo più difficili e più onerose le operazioni di ristrutturazione che richiedono esodi volontari.

In secondo luogo il bonus è limitato alle assunzioni effettuate entro il 31 dicembre 2015. E nessuno dice che, con un gioco di prestigio tanto abile quanto poco pubblicizzato, Renzi ha cancellato gli sgravi contributivi previsti dalla legge n. 407/1990 per chi assumeva disoccupati o cassintegrati di lunga durata. Questo significa che dal 1° gennaio 2016 le imprese, soprattutto del sud e quelle artigiane si troveranno private di un sostegno importante.

Inoltre, e soprattutto, l’imponenza dello sconto potrebbe creare un grave effetto distorsivo della concorrenza, mettendo in crisi le imprese già  esistenti, soprattutto quelle dei settori labour intensive. Pensiamo ad esempio ad una neo costituita impresa della logistica o delle pulizie, che assume ex novo i suoi dipendenti risparmiando per ciascuno di essi fino a 8.060 € all’anno per tre anni. E’ inevitabile che tale impresa sarà molto più competitiva rispetto alle concorrenti che rischiano così di venire spiazzate e di dover sospendere l’attività, ridurre il personale o forse persino chiudere i battenti, con conseguente passaggio in carico all’INPS dei lavoratori sospesi o disoccupati. Considerato lo scenario, non è poi nemmeno da escludere il pericolo di aperture e chiusure “strategiche”, con diversa compagine e ragione sociale, per poter svolgere a costi più bassi la medesima attività.

Infine, fra tre anni, esaurito il bonus, cosa accadrà? L’impresa di nuova costituzione potrebbe non rivelarsi in grado di reggere i maggiori costi e potrebbe decidere di cessare l’attività oppure di ridimensionarsi, tanto il costo potenziale dei licenziamenti è irrisorio. E ancora una volta avremmo una pesante ricaduta sulle casse dell’Inps.

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