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Vi spiego perché Israele ama Netanyahu. Parla il prof. Ugo Volli

La riconferma di Netanyahu nelle elezioni israeliane di ieri, lo schiaffo a Obama, i riflessi sul negoziato nucleare con l’Iran e tutti gli ostacoli alla formazione di uno Stato palestinese.

Ecco alcuni dei temi affrontati in una conversazione di Formiche.net con il semiologo e filosofo del linguaggio Ugo Volli, professore ordinario all’Università di Torino e autore della prefazione del libro “Ebrei contro Israele” di Giulio Meotti (Belforte, 2014). Su Twitter scrive di sé: “Difendo Israele, lotto contro l’antisemitismo”.

Professore, perché gli israeliani hanno riconfermato Netanyahu?

Cominciamo col dire che la sua è stata una vittoria inaspettata. I sondaggi non lo vedevano favorito e nemmeno opinionisti e analisti, forse troppo influenzati dalla propaganda dei Democratici americani. Invece lo stesso Obama, criticandolo, lo ha rafforzato agli occhi dell’elettorato. Penso infatti che gli israeliani abbiano dato il proprio consenso a chi ha detto di voler compiere scelte politiche che tutelano in modo migliore la sicurezza dei cittadini.

Credeva che le questioni economiche, di cui si è molto discusso sui media, avrebbero avuto maggior peso nell’orientamento al voto?

No, perché sui media, soprattutto quelli occidentali, c’è stata una pessima informazione riguardo a ciò. Il reddito dei cittadini israeliani è cresciuto molto più di qualsiasi Paese europeo negli ultimi anni. Attrae capitali da tutto il mondo e ha un’economia avanzata, che produce posti di lavoro qualificati, soprattutto nel settore tecnologico. La disoccupazione è ai minimi. E anche la questione abitativa è un falso problema. Ovvio, comprare casa nel centro di Tel Aviv è oggettivamente caro, così come lo è acquistarla nel centro di Roma o Milano, ma ciò non vuol dire che non sia possibile. Anche in Israele ci sono disuguaglianze, ma non più che in altri Stati.

Che tipo di coalizione proverà a costruire Netanyahu?

La coalizione è già in qualche modo fatta. Al Likud, che conta già su una trentina di parlamentari, si uniranno alcuni partiti di destra. Penso a Israel Beytenu di Avigdor Lieberman e al partito dei coloni Focolare Ebraico di Naftali Bennet. Così mancherebbero circa 3 o 4 voti dalla maggioranza. Questi dovrebbero arrivare dal movimento centrista Kulanu di Moshe Kahlon, ex componente del partito di Netanyahu che ha avuto buon riscontro. Questo dovrebbe consentire al premier di avere una maggioranza di 64-66 parlamentari su 120.

I rapporti tra Netanyahu e la Casa Bianca non sono compromessi, ma sicuramente tesi. Come è stata presa a Washington la sua riconferma secondo lei?

Obama ha cercato con finanziamenti e uomini di impedire la rielezione di Netanyahu. Non ci è riuscito. Israele e Usa sono e resteranno solidi alleati per una lunghissima serie di ragioni, ma certamente le divergenze su alcuni dossier, come quello iraniano, si fanno sentire. Ma su questo, come altri temi, il popolo israeliano ha dimostrato di sostenere la linea del premier uscente.

Negli Usa vive però una delle più grandi e influenti comunità ebraiche al mondo. Crede che Obama potrà non tenere conto del risultato del voto?

Penso che non potrà far finta di niente. Dovrà necessariamente trovare una linea di equilibrio su alcuni dossier, sia quello iraniano sia quello della nascita di uno Stato palestinese. Questo equilibrio potrebbe partire da un gesto semplice: tenere conto delle preoccupazioni espresse da Netanyahu e confermate nelle urne dagli israeliani.

Cosa divide gli israeliani e Washington sul dossier iraniano?

Bisogna porre con chiarezza dei limiti tecnici che impediscano all’Iran di dotarsi per sempre dell’arma atomica. Secondo i termini discussi finora, Teheran non avrebbe problemi ad avere un’arma nucleare nel medio periodo. E tutto ciò è inaccettabile per Israele. In primo luogo perché la Repubblica Islamica ha più volte ripetuto che uno dei suoi obiettivi è cancellare Israele dalla cartina geografica. E poi perché l’Iran è al momento un Paese che porta avanti una politica imperialista che minaccia la stabilità dell’intera regione, come dimostrano le sue ingerenze in Siria, Libano, Irak.

E quali sono i dubbi sulla nascita di uno Stato palestinese?

Anche in questo caso, non c’è una chiusura pregiudiziale. Ma resta un dato di fatto che i confini discussi finora siano a un tiro di schioppo da obiettivi sensibilissimi per Israele. A 3 Km dall’unico aeroporto internazionale del Paese e a 10 da Tel Aviv. Ovviamente che non vive la realtà israeliana non si rende conto di questi aspetti. Al momento non ci sono le condizioni per la pace, anche perché sono gli stessi palestinesi a non riconoscere lo Stato d’Israele. Per non parlare poi del problema terrorismo, di Hamas e non solo. Dunque, premere su un progetto che allo stato attuale non fa sentire sicuri gli israeliani, produce solo più tensioni. Obama dovrebbe comprendere anche questo e prendere atto che tutta la sua politica estera si è rivelata inconcludente.

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