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Tutte le belve su Lupi

Caso Lupi. Ho mandato un sms ad un amico deputato del Ncd: ‘’Come va a finire?’’, ho scritto. Ecco la sua risposta: ‘’Boh? Vediamo se Angelino regge …’’.  Chissà? In fondo per tutti c’è sempre una prima volta.

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Persino Susanna Camusso si è accorta che, sulla corruzione, nel governo esistono due pesi e due misure. La zarina della Cgil, con riferimento alla vicenda di Maurizio Lupi, ha sostenuto che non è comprensibile il comportamento dell’esecutivo. ‘’Questo governo – ha dichiarato la leader sindacale – dovrebbe decidere un atteggiamento univoco rispetto al rapporto che c’è tra le inchieste e le singole persone: dalla richiesta di dimissioni per una telefonata a quanto si è fatto finta di niente rispetto a problemi aperti’’.

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Occupiamoci un po’ di fantapolitica. Maurizio Lupi non si dimette. Si va al confronto sulle mozioni di sfiducia e un bel pezzo del Pd vota a favore. Vanno in soccorso del ministro i suffragi  di Forza Italia, ma non bastano. Lupi è sfiduciato, ma la maggioranza è sfasciata. Che cosa succederebbe a quel punto?

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Ma l’Italia non sta soffrendo di un grave deficit di infrastrutture e opere pubbliche? La mobilitazione degli investimenti e l’accelerazione dei lavori non doveva essere un volano per la ripresa economica?

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I giuslavoristi vicini alla Cgil si sono incontrati per decidere quale condotta adottare nei confronti della nuova disciplina del recesso individuale per i nuovi assunti. Pare che sia stata preferita la linea dei ricorsi giudiziari e scartata quella del referendum abrogativo (in ragione della sconfitta, subita nel 2003, nella consultazione referendaria che intendeva estendere, con l’appoggio della Confederazione, l’applicazione dell’articolo 18 anche alle piccole imprese). I ‘’nostri’’ si fidano più dei giudici che degli elettori.

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E’ pervenuto un messaggio dai Campi Elisi dove riposano le anime degli eroi. Ecco il testo: ‘’Nessuno è autorizzato a rilasciare, a mio nome, giudizi sul Jobs act Poletti 2.0’’. Firmato, Marco Biagi.

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Leo Longanesi, un personaggio ora dimenticato, che fu un singolare intellettuale di destra nel secolo scorso (almeno durante la prima metà) e fondatore nel dopoguerra de Il Borghese,  soleva ripetere, durante il fascismo, che la città tunisina di Biserta era una ‘’pistola puntata contro l’Italia’’. Queste parole andavano inquadrate nel clima guerrafondaio dell’epoca. Dopo la strage del Museo del Bardo, sia pure con altre motivazioni e diversi protagonisti, l’immagine è tornata di attualità.

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