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Il diserbante di Renzi su Ncd e Lupi

Più che l’annuncio ufficiale, affidato nelle forme alla conclusione di una “informativa” nell’aula di Montecitorio, colpiscono i preannunci delle dimissioni del ministro delle Infrastrutture.

Mentre Maurizio Lupi era ancora fermo nel proposito di resistere, pur indebolito dalla diffusione delle intercettazioni delle telefonate con amici ed ex collaboratori arrestati sotto l’accusa di corruzione negli appalti delle grandi opere, il senatore Gaetano Quagliariello, coordinatore nazionale del suo partito, il “Nuovo Centro Destra” fondato dal ministro dell’Interno Angelino Alfano, diceva al Corriere della Sera: “Se spiegasse un eventuale passo indietro, dovuto a ragioni personali, e ci chiedesse di condividere la sua scelta, saremmo con lui, con la stessa forza”. Ma “stessa” in che senso? La stessa forza della convinzione che Lupi dovesse “restare ministro perché riteniamo che non ci siano dubbi sulla sua onestà”.

Messa così, la condivisione della resistenza del ministro diventava inconsistente. Tanto inconsistente da sfociare in poche ore in un altro preannuncio: quello delle dimissioni fatto dallo stesso Lupi nel salotto televisivo e abitualmente notturno di Porta a Porta. Che Lupi, condividendone evidentemente la vecchia e spiritosa definizione andreottiana di “terza Camera”, ha preferito alla prima e vera Camera, ancora in attesa in quel momento delle sue comunicazioni e pronta a discutere nei giorni successivi le mozioni di sfiducia individuale promosse da grillini e vendoliani. Mozioni condivise da buona parte del Partito Democratico e in qualche modo accreditate da un assordante silenzio del presidente del Consiglio, e segretario dello stesso Pd, Matteo Renzi. I cui umori, di solito garantisti con i suoi ma decisamente contrari alla resistenza di Lupi, erano stati riferiti da fior di giornalisti e testate senza un’ombra di smentita.

E’ diventata sarcastica a questo punto la notizia data da Quagliariello, sempre al Corriere, prima del preannuncio delle dimissioni di Lupi: “Renzi ci ha garantito la tenuta del suo partito”. “Tenuta” in che senso? Contro o a favore?

Chiamato infine a pronunciarsi sulla opinione espressa a titolo dichiaratamente personale dalla capogruppo del suo partito a Montecitorio, Nunzia De Girolamo, che fosse opportuno far seguire alle eventuali dimissioni di Lupi l’uscita del Nuovo Centro Destra dal governo, Quagliariello dissentiva con alcune riflessioni impostate, secondo lui, a realismo e responsabilità. Ecco la prima: “Siamo totalmente privi di forza mediatica”. Come se ce ne fosse una apprezzabile di carattere elettorale, nonostante i sondaggi.

Con le dimissioni di Lupi, secondo Quagliariello, “la nostra storia” non potrebbe essere “ridotta a poltronismo e potere”. Ma dalla permanenza degli altri ministri si potrebbe ricavare, sul piano logico, anche l’impressione diametralmente opposta. Così come tutt’altro che pacifica è la convinzione espressa da Lupi di avere prodotto con la sua rinuncia apparentemente volontaria un “rafforzamento” del governo. Ma di un governo – gli hanno già contestato – inteso come un sostanziale “monocolore” del Pd, dato anche il recente passaggio allo stesso Pd della ministra della Pubblica Istruzione Stefania Giannini e della sottosegretaria ai Beni Culturali Ilaria Borletti Buitoni, entrambe ex montiane.

In realtà, più che il governo e la maggioranza di quel che è rimasto delle “larghe intese” prodotte dalle inconcludenti elezioni politiche di due anni fa, l’epilogo della vicenda Lupi rafforza solo Matteo Renzi. Che con le dimissioni del ministro, prodotte anche da quello che Luciano Violante ha efficacemente definito “uso immorale della questione morale” parlando delle strumentalizzazioni politiche delle cronache giudiziarie, ha buttato altro diserbante sull’area politica ed elettorale del centrodestra. Un’area che, perdurando le divisioni a volte persino feroci nel partito di Berlusconi e le difficoltà “mediatiche” del movimento di Alfano, come le ha definite riduttivamente Quagliariello, è sempre più esposta alle tentazioni dei due Mattei: Salvini a destra e Renzi al centro, favorito anche dalle guerre e guerricciole che gli fanno da vecchie posizioni massimalistiche le sinistre interne ed esterne al Pd.

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