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Tunisi, prove tecniche di penetrazione Isis in Italia. Parla il prof. Sapelli

La strage di Tunisi non è altro che uno dei test che alcuni fermenti jihadisti, nati dalla propaganda dello Stato Islamico, stanno realizzando per infiltrare l’Europa, sbarcando sulle coste italiane. A crederlo è Giulio Sapelli, che in una conversazione con Formiche.net spiega perché quel che accade nel Paese nordafricano ci riguarda molto da vicino.

Ecco l’opinione dello storico ed economista, dal 1996 al 2002 nel cda del Cane a sei zampe e dal 1994 ricercatore emerito presso la Fondazione Eni Enrico Mattei.

Professore, che cosa è accaduto a Tunisi?

È una storia che si ripete e che dunque si poteva prevedere. Non è il primo attentato, altri c’erano già stati. D’altronde la Tunisia è riuscita a non crollare solo perché è uno Stato piccolo, facilmente controllabile e ha un modello di State building che le ha consentito di reggere ai sommovimenti delle primavere arabe, così come l’Egitto. Non è una nazione indebolita dall’influenza di una struttura tribale e ha la fortuna di non avere petrolio, che la renderebbe oggetto di maggiori attenzioni. Ma non è immune dai problemi del territorio in cui si trova. Parliamo di Paesi dove le frontiere non esistono.

Perché i jihadisti hanno deciso di colpire di nuovo il Paese nordafricano?

I jihadisti sopportano poco che possa esistere un posto dove, pur tra mille problemi, si prova a costruire una società islamica che funzioni. Non è un caso che si siano attaccati per la prima volta i turisti (anche italiani), che rappresentano, assieme all’agricoltura, una parte rilevante delle poche entrate dello Stato. Ma la cosa più importante, a mio avviso, è che quel che accadono a Tunisi sono le prove generali della penetrazione dell’Isis nel nostro Paese.

Cosa intende?

Nessuno può davvero pensare che il Califfato nero, se vuole colpire l’Italia e l’Europa, decida di inviare terroristi attraverso la Libia. Quello di Tripoli è un territorio troppo instabile. Molto meglio la tranquilla Tunisia, anch’essa a due passi dalle nostre coste.

Come impedire che questo incubo prenda forma?

Un’altra delle fandonie che circola sui media è che l’Isis ottenga la maggior parte dei suoi guadagni dal controllo di alcuni pozzi petroliferi e da razzie varie. La verità è che questo movimento terrorista viene lautamente finanziato e manovrato da “protettori” come il Qatar e l’Arabia Saudita. Se non si chiudono questi rubinetti, c’è poco da fare.

Basterà questo a pacificare Paesi in fiamme, come la Libia?

Una volta fatto ciò, bisognerà poi agire militarmente. Non si riuscirà a sradicare questa gramigna e a a pacificare la regione solo con i negoziati, seppur importantissimi. Se l’Occidente non vuole sporcarsi le mani, allora lo faccia fare alle potenze regionali, come Il Cairo. La Libia è ancora una nostra colonia, ma in un’accezione moderna del termine. Dobbiamo decidere se avere ancora un’area d’influenza. Io vorrei di sì e non solo nel nostro interesse, ma anche in quello di Tripoli. La Storia ha dimostrato che quando un Paese con quei problemi non è “colonizzato” economicamente da uno industrializzato, cade in mano o a terroristi o a speculatori che ne depredano le ricchezze.

Che effetti può avere la riconferma di Benjamin Netanyahu al governo d’Israele?

Importantissima, ma non per la riconferma di Netanyahu in sé. Gli israeliani lo hanno rivotato perché sono dominati dalla paura. Spero che questo spinga gli americani a legare al negoziato con l’Iran il riconoscimento dello Stato d’Israele. Più facile a dirsi, che a farsi, ma avrebbe senza dubbio un grandissimo effetto stabilizzatore.

L’editorialista Stefano Cingolani ha evidenziato su Formiche.net la necessità di indignarsi e manifestare per quanto accaduto a Tunisi.

Ha perfettamente ragione. La gente, ormai, s’indigna solo per i valori di Giuliano Pisapia, che a Milano ha tagliato i servizi agli anziani per destinare risorse al bike sharing in centro.  Ci si indigna solo per queste cose radical chic. Non mi stupirei se la gente manifestasse per prendere le parti di Elton John o Dolce e Gabbana, ma non per la strage di Tunisi. Solo che Cingolani sbaglia a dare a questi avvenimenti una connotazione politica: il problema risiede in una società ormai individualistica e priva di valori. Prima i giovani partivano per combattere in Spagna contro Franco. Allora abbiamo descritto queste cose come forme di fanatismo. Ora ci rendiamo conto che erano espressione di un impegno civile che non esiste più.

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