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Egitto, perché copti e salafiti tornano a parlarsi

Salafiti e copti insieme. Può sembrare una contraddizione di termini, ma non lo è. Almeno secondo la nuova legge elettorale egiziana che obbliga ogni partito a inserire nelle proprie liste elettorali una quota riservata ai cristiani copti e alle donne.

Anche se il 1̊ marzo la Corte Costituzionale ha bocciato la legge, mandando per aria le parlamentari alle porte, quanti si sono messi al lavoro per emendare il regolamento elettorale non toccheranno questo articolo.

DONNE E CRISTIANI NELLA POLITICA EGIZIANA

Sembrano passati secoli da quando, nel 2011. Yasser Burhami, uno dei più importanti leader salafiti di tutto il Paese peraltro strettamente legato ad Al-Nour, aveva dichiarato dalle colonne del quotidiano Al-Ahram che “noi saremo disponibili a valutare la presenza di un copto come presidente del Paese, quando Israele farà lo stesso con un musulmano”.

Dichiarazione che si traduceva in una palese negazione dei diritti politici di una parte (corposa, pur se minoritaria) della cittadinanza egiziana.

Eppure, il 29 gennaio 2015, proprio la pagina Facebook ufficiale di Al-Nour, il maggiore partito salafita di tutto l’Egitto, pubblicava una immagine del copto El Serafy che esprimeva la sua candidatura nelle fila di Al-Nour e la sua volontà di collaborare su questioni religiose nell’interesse dei copti.

Dichiarazioni che facevano seguito a quelle di un importante esponente del partito salafita, Ashraf Thabit, il quale si diceva sicuro di come “la presenza di copti e donne nelle liste di Al-Nour non rappresenterà un problema”. Eppure a guardare il sito della Da’wa Salafiyya di Alessandria, organizzazione di cui Al-Nour è braccio politico, qualche incognita rimane.

Un articolo di Ahmad Shahhat del 12 febbraio 2015 ci informa di come la Da’wa Salafiyya ritenga che gli uomini e le donne debbano avere ruoli diversi e a tal proposito riporta non poche citazioni dal Corano e alcuni hadith dell’epoca del Profeta Muhammad.

Questo perché, lo sottolinea chiaramente l’autore dell’articolo, Al-Nour è un partito islamico che fa chiaramente riferimento alla Shari’a la cui identità va preservata “specialmente dopo il fallimento dei Fratelli Musulmani”.

La partecipazione di donne e copti è una inclusione sub condicione, ossia non libera, non rispettosa delle single specificità, ma che anzi tale specificità tende a inglobare in un contesto ben definito: islamico appunto.

Del resto, e qui si chiude l’articolo, “è noto che la vita dei cristiani all’ombra dell’Islam sia ben più sicura che sotto il controllo dei monaci della Chiesa”, specificando che il decadimento morale dell’Europa (c’è riferimento alle vignette satiriche sulle donne velate ed alla religione islamica insultata in televisione) sia ormai inarrestabile, poiché schiava dei suoi “modelli corrotti”.

PRAGMATISMO DI AL-NOUR

La mossa inclusiva di Al-Nour sembra dunque essere primariamente improntata su un calcolo politico, primariamente legata all’obbligo, dunque non alla volontà, di includere all’interno dei propri ranghi esponenti di fede cristiana.

Si tratta di una mossa pragmatica, laddove la propria ideologia viene piegata alla prassi legislativa che impone la presenza di cristiani nelle fila del partito salafita.

Così come pragmatica, quando non opportunistica, viene considerate all’interno del mondo copto la decisione di alcuni esponenti politici cristiani di iscriversi nelle liste salafite.

Marco Di Donato è Dottore di Ricerca in Scienze Politiche e ricercatore presso l’UNIMED (Unione delle Università del Mediterraneo).

Clicca qui per leggere l’analisi completa sul sito di AffarInternazionali

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