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Mps, Unicredit, Intesa. Ecco il peso reale delle sofferenze bancarie

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Il problema delle sofferenze bancarie, per le dimensioni, la dinamica e le caratteristiche settoriali che ha assunto, richiede una attenzione più profonda rispetto alle soluzioni semplificatorie, di cui quella più ricorrente è rappresentata dal loro congelamento in una sorta di Bad bank.  Ieri è tornato a parlarne il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, sottolineando che per la bad bank serve «un intervento diretto dello Stato che, nel rispetto della disciplina europea sulla concorrenza, favorisca lo sviluppo di un mercato secondario» delle sofferenze bancarie.

EFFETTO SOFFERENZE

E’ ben noto, infatti, che si tratta di affidamenti che impegnano risorse in modo inefficiente: non contribuiscono alla crescita produttiva, consumano capitale bancario e deteriorano i bilanci degli intermediari. La Bad bank sarebbe comunque una soluzione ponte, volta ad isolare il credito ammalorato da quello sano, al fine di liberare capitale e risorse. Nel frattempo, attraverso la Bad bank, si procederebbe alla liquidazione dei crediti, ovvero alla loro rimessa in bonis.

LE CAUSE DEL FENOMENO

Ci troviamo di fronte ad un fenomeno eccezionale, determinato da una crisi economica praticamente ininterrotta dal 2008. In valore assoluto, le sofferenze lorde sono passate dai 107 miliardi di euro del 2011 ai 185 miliardi di gennaio scorso, con un incremento del 73%. Rispetto al gennaio 2014, l’incremento è stato di 25 miliardi, pari all’1,6% del Pil. Il fenomeno tende a stabilizzarsi, visto che le sofferenze erano cresciute di 17 miliardi nel corso del 2012 e poi di 31 miliardi nel corso del 2013. Rispetto al 2011, sono passate da 10 a 15 miliardi di euro per la famiglie consumatrici (+50%), da 24 a 35 miliardi per le famiglie produttrici (+37%) e da 70 a 132 miliardi per le società non finanziarie (+89%).

CHE SUCCEDE A INDUSTRIE E FAMIGLIE

Le maggiori criticità sono cresciute prevalentemente nel settore produttivo, mentre le famiglie hanno mostrato maggiore resilienza, e soprattutto sono concentrate nelle aziende appartenenti a tre branche di attività economica. A dicembre 2014, su un totale di 146 miliardi di sofferenze di pertinenza del settore produttivo, l’intera industria manifatturiera presentava sofferenze lorde per 36 miliardi rispetto ai 210 miliardi di prestiti erogati (17%).

FOCUS COSTRUZIONI

Invece, il comparto delle costruzioni presentava sofferenze per 39 miliardi rispetto ai 154 miliardi di prestiti erogati (25%), quello immobiliare sofferenze per 18 miliardi rispetto ai 119 miliardi di prestiti erogati (15%). Infine, il comparto del commercio e della riparazione di autoveicoli aveva sofferenze per 25 miliardi rispetto ai 142 miliardi di prestiti erogati (16%). La somma delle sofferenze nei comparti legati ai settori della casa e dell’auto è stato di 82 miliardi di euro, mentre tutto il resto del sistema produttivo nazionale ne ha accumulate per 64 miliardi.
Se andiamo a controllare il valore della produzione ai prezzi base di ciascuna delle predette branche di attività, vediamo che nel 2012 (l’ultimo anno disponibile) quello delle costruzioni è stato di 230 miliardi di euro, cifra che va rapportata ai 39 miliardi di sofferenze (incidenza del 17%).

I CONFRONTI

L’immobiliare ha registrato un valore del prodotto di 227 miliardi, da comparare con i 18 miliardi di sofferenze (incidenza dell’8%), mentre nel comparto del commercio e riparazione degli auto e motoveicoli la produzione di 37 miliardi di euro va compara con sofferenze pari a ben 25 miliardi (incidenza pari al 68%). In questo caso ci si trova di fronte ad una collasso sistemico.

I NUMERI DI SISTEMA

I tre settori considerati hanno cumulato quindi un valore della produzione di 494 miliardi di euro rispetto ad un valore per il complesso dell’intera economia pari a 3.132 miliardi: pur rappresentando appena il 15,7 % del “fatturato nazionale”, hanno accumulato ben il 55% del totale delle sofferenze bancarie.

LA MAPPA DEL DETERIORAMENTO

C’è quindi una prima correlazione che va fatta: si sono fortemente deteriorati i crediti nei settori legati alla produzione di beni capitali e di consumo durevole, casa ed auto, per via della minore propensione delle famiglie ad acquistarli e ad indebitarsi a tal fine. Nel settore dell’auto, le immatricolazioni sono infatti calate di un milione di unità, passando da 2.490 mila vetture del 2007 a 1.360 mila del 2014: il mercato è crollato del 40%.

Nel settore delle costruzioni, gli investimenti fissi lordi a prezzi costanti sono passati dai 169 miliardi di euro del 2010 ai 131 miliardi dell’anno scorso: ipotizzando una stazionarietà degli investimenti, la perdita accumulata è stata di circa 96 miliardi di euro. Anche tenendo conto della recente crescita dei mutui per surroga, il volume dei prestiti alle famiglie per l’acquisto di abitazioni è passato dai 366 miliardi del 2011 ai 357 miliardi di fine 2014. Il credito al consumo è passato nello stesso periodo da 64 a 60 miliardi, mentre gli “altri prestiti” sono calati da 186 a 180 miliardi. La contrazione totale del credito alle famiglie è stata di 20 miliardi di euro, dinamica che ha inciso sia sull’acquisto di abitazioni sia di beni di consumo durevole.

Rispetto all’universo delle sofferenze bancarie, siamo innanzitutto di fronte ad un livello di concentrazione settoriale molto rilevante, che giustifica interventi peculiari, finanziari e di politica economica.

PERCHE’ CAMBIARE MARCIA

Occorre rimpiazzare i driver economici consunti, quelli delle nuove costruzioni e dell’automobile, con altri più sostenibili ed attenti alle esigenze della collettività, migliorando il trasporto collettivo urbano e periubano ed intervenendo a favore del riuso dei volumi già edificati e della tutela del suolo.

LA BAD BANK NON E’ L’UNICA SOLUZIONE

Servono politiche attive: una Bad bank purchessia, non è di per sé una soluzione. Basta ricordare che negli Usa il governo federale è intervenuto a sostegno del settore automobilistico, cosi come la Fed ha deciso di agevolare il settore immobiliare acquistando cospicui ammontari di Mbs dalle Agenzie federali, arrivandone a detenere 1.749 miliardi di dollari al termine del Qe3.

(prima parte dell’analisi; la seconda parte sarà pubblicata domani)

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