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Chi paga il conto delle crisi internazionali alle imprese italiane?

Libia, Ucraina e purtroppo, da qualche giorno, anche Tunisia. Chi paga il conto delle crisi internazionali alle imprese italiane? Come ovviare ad una situazione di sostanziale immobilismo europeo che danneggia chi, da anni, è a quelle latitudini apprezzato e ricercato per prodotti e commesse?

Il tema delle imprese italiane che pagano il dazio di policies al momento ancora inefficaci è di estrema attualità e si intreccia con la congiuntura nazionale difficile e disarticolata. Un motivo in più per spingere affinché situazioni intricate come la Libia non siano affrontate con passività e lasciando sole quelle realtà imprenditoriali italiane che negli anni si sono fatte apprezzare.

Di questo, ma anche del comparto aretino dell’oro attraversato da un’altra crisi di commesse (con gli Emirati Arabi in calo), si parlerà il prossimo 27 marzo ad Arezzo alla Borsa Merci con due “tecnici” qualificati come il Prof. Edward Luttwak (economista, saggista e politologo statunitense) e l’arch. Gianfranco Damiano (Presidente della Camera di Commercio Italo libica).
L’obiettivo è fare luce su quegli aspetti sovente dimenticati dalla politica dei singoli Stati e che invece rivestono un ruolo di primissimo piano. L’evento aretino spazierà dalle imprese e all’internazionalizzazione soffermandosi su dazi, globalizzazione e nuove sfide con un passaggio che sul ruolo dell’Ice.

Il meeting, promosso dalla sezione Siena – Arezzo del Partito Liberale Italiano e fortemente voluto dall’on. Daniele Toto, vuole essere una finestra a più cervelli per analizzare il trend dei casi libici e ucraini che influenzano, direttamente e indirettamente, le relazioni commerciali italiane e dell’intero versante eurasiatico. Secondo le ultime rilevazioni, la crisi in Libia costa alle imprese italiane fino a 400 milioni di euro al mese, tra mancate commesse e interruzioni di lavori già avviati. Un evidente danno per le imprese italiane chiamate, non solo a fronteggiare il dato generale relativo alla crisi economica e quello atavico della pressione fiscale, ma anche l’attuale immobilismo che impedisce all’Unione Europea di risolvere razionalmente i due fronti “caldi” come Tripoli e Minsk.

L’istanza che il mondo produttivo rivolge alla politica è di procedere, spedita, verso una soluzione della questione, anche perché come alcuni sussurri da Tripoli dimostrano, in Libia c’è ancora molta richiesta di imprese italiane e soprattutto molta voglia di ricominciare a produrre. Nonostante la guerra e due governi.

twitter@FDepalo

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