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I giochi d’azzardo di Renzi sull’Italicum

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Se la partita fosse tutta interna al Pd e lui l’attaccante veramente irresistibile che mostra di ritenersi, il gioco di contropiede avviato all’improvviso da Matteo Renzi a Montecitorio sul terreno della riforma elettorale potrebbe portarlo al gol. Potrebbe cioè riuscire al presidente del Consiglio il tentativo di anticipare a prima delle elezioni regionali di fine maggio, magari rinviate di una settimana, il voto finale sulla legge elettorale chiamata Italicum, nel testo passato a fine gennaio nell’aula del Senato. Una legge che comunque riguarda solo l’elezione della Camera, con il Senato appeso ancora alla riforma istituzionale che vorrebbe trasformarlo in un’assemblea composta da consiglieri regionali e sindaci.

Le minoranze del Pd, come hanno dimostrato le prime reazioni all’ultimo attacco di Massimo D’Alema al presidente del Consiglio, appaiono o sono troppo divise e incerte, per quanto esse possano o vogliano sperare in qualche aiuto persuasivo del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Che deve la sua recente elezione a Renzi, ma anche alle minoranze, appunto, del suo partito. Per soddisfare le quali il presidente del Consiglio ha rotto con Silvio Berlusconi nel difficile percorso delle riforme, e dintorni.

Al Quirinale si sarà certamente già sobbalzati a sentire e leggere le indiscrezioni minacciose di fonti ultrarenziane sul ricorso addirittura alla questione di fiducia per blindare il passaggio finale della legge elettorale.

Ma la partita non è tutta interna al Pd, al cui segretario e presidente del Consiglio potrebbero non bastare le grandi dimensioni di un gruppo gonfiato dal premio di maggioranza scattato nel 2013 con la vecchia legge chiamata Porcellum, e poi bocciato dalla Corte Costituzionale.

Alla Camera, diversamente dal Senato, sulla legge elettorale le opposizioni possono chiedere e ottenere abbondantemente lo scrutinio segreto, fornendo quindi occasioni preziose alle minoranze del Pd per assestare al presidente del Consiglio, coperte dall’anonimato, un colpo destinato a “lasciargli il segno”. Che è poi la sollecitazione rivolta di recente in veste sarcastica di “extraparlamentare” da D’Alema ai suoi compagni di minoranza del partito.

Il voto segreto potrebbe mettere insieme tutti gli umori e gli interessi contrari a Renzi, nonostante gli amici del presidente del Consiglio si mostrino convinti di poter ottenere il soccorso nascosto dei deputati di Forza Italia contrari alla svolta voluta e impressa da Berlusconi nei rapporti con il governo.

I passaggi scabrosi della legge elettorale sono quelli dei capilista bloccati, della conseguente marginalizzazione delle preferenze, specie per i partiti minori, e del premio di maggioranza destinato non più alla coalizione ma alla lista vincente, senza possibilità di mettere mano alle squadre impegnatesi nel primo turno se si dovesse ricorrere al ballottaggio. Che il disegno di legge prescrive fra le due liste, appunto, più votate nel primo turno nel caso di mancato superamento del 40 per cento dei suffragi.

Già configurabile per Renzi come una buccia di banana dopo le elezioni regionali, l’anticipo dell’appuntamento alla Camera con la legge elettorale può obbiettivamente risolversi per il presidente del Consiglio nella imprudente partita della vita del suo governo. E ciò a dispetto del vento favorevole avvertito dai sostenitori dell’ex sindaco di Firenze nella ripresina economica, nell’Expo di Milano, nel Giubileo straordinario della misericordia, nelle difficoltà giudiziarie e/o mediatiche dei suoi più inquieti alleati e nel marasma di quello che fu il centrodestra.

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