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Ecco come la Cina s’intrufola sempre più anche in Europa nelle reti strategiche

Subito dopo l’avvio della “going out strategy” gli investimenti della RPC sono stati indirizzati prevalentemente verso le economie emergenti nel Sud-Est Asiatico, in Africa e in America Latina per garantirsi l’accaparramento di risorse naturali. Negli ultimi anni, invece, si è assistito ad un’inversione di rotta da parte di Pechino poiché è aumentato in maniera cospicua l’interesse per i Paesi sviluppati.

Secondo uno studio condotto dall’intelligence Unit dell’Economist (EUI), le economie europee hanno rappresentato uno dei maggiori target degli investimenti cinesi. Sebbene lo studio mostri come i Paesi del nord Europa siano stati i maggiori beneficiari degli investimenti cinesi, è possibile evidenziare un interesse recente anche nei confronti dei Paesi dell’Europa del sud. Portogallo, Spagna, Italia e Grecia a causa delle discutibili performance economiche, riscontrabili dopo lo scoppio della crisi dei debiti sovrani, sono progressivamente diventate meta privilegiata degli investimenti dell’Impero di Mezzo.

La crisi economica che ha colpito l’eurozona ha messo a repentaglio la competitività delle aziende nazionali le quali si sono viste costrette a reperire finanziamenti sui mercati internazionali. L’ampia disponibilità finanziaria della RPC ha quindi permesso di inserirsi nei mercati europei in crisi, sfruttando possibilità di investimento altamente redditizie. La crescita economica cinese è stata un processo lento nel suo fluire ma che ha avuto profonde ripercussioni a livello globale.

Generalizzando è possibile stabilire che le principali motivazioni alla base degli investimenti esteri sono legate a quattro concetti fondamentali che sono connessi all’acquisizione e controllo di: risorse naturali, tecnologia, mercati e asset strategici.

Sebbene queste macro categorie possano rivelarsi esaustive per un’analisi di tipo generalista, nel caso cinese vi è una compenetrazione di motivazioni nella scelta degli investimenti esteri. Nell’ultimo decennio gli investimenti in asset strategici hanno rappresentato uno dei maggiori capisaldi delle politiche di investimento intraprese da Pechino, il cui obiettivo ultimo è la massimizzazione delle prestazioni aziendali e la penetrazione politico-economica a livello globale. A tale scopo, una quota consistente di imprese cinesi ha indirizzato i propri investimenti in settori considerati strategici (telecomunicazioni, difesa, energia, trasporti, infrastrutture) per sbaragliare la concorrenza internazionale e ottenere quote di mercato, nonché competenze distintive e know-how.

L’Italia, negli ultimi anni, si è dimostrata meta ambita degli investimenti strategici cinesi. La recente crisi economica, che ha colpito il vecchio continente, ha destabilizzato gran parte delle economie europee costringendole a svendere quote consistenti di asset strategici a favore dei cinesi. Solo in Italia, Pechino è entrata in possesso di quote di capitale di Telecom, Eni, Enel, Prysmian (ex Pirelli Cavi), Cdp Reti (che controlla Snam e Terna) e Ansaldo Energia. Si tratta di investimenti che mirano a penetrare in maniera massiccia settori considerati strategici a livello globale.

La Cina ha colto appieno le vulnerabilità del sistema italiano approfittando della congiuntura economica internazionale per espandere le sue politiche di investimento riuscendo ad acquisire quote di capitale dei maggiori “campioni nazionali”. Si tratta di investimenti mirati che puntano a settori strategici di notevole rilevanza, sia interna che internazionale, che garantiranno alla Cina una visibilità maggiore a livello globale.

(2/fine)

(la prima parte dell’analisi si può leggere qui)

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