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Che cosa si dice nel governo su Delrio alle Infrastrutture

Tutto bene quel che finisce bene? La nomina di Graziano Delrio a ministro delle Infrastrutture al posto del dimissionario Maurizio Lupi ha posto termine al brevissimo interim del premier Matteo Renzi. Al vertice del dicastero di piazza di Porta Pia arriva dunque un esponente di peso del Pd al posto di un rappresentante del Nuovo Centrodestra.

Il partito di Angelino Alfano ha accettato la decisione del presidente del Consiglio senza colpo ferire, come se non avere più le Infrastrutture e i Trasporti fosse una inevitabile conseguenza delle dimissioni di Lupi. Si dirà che Renzi ha offerto ad Area Popolare il ministero degli Affari regionali. Di certo il ridimensionamento politico di Ncd nel governo con la decisione di Renzi è palese.

Ma la mossa di Renzi è stata azzeccata? Delrio non può non essere soddisfatto: si potrà misurare con un dicastero complesso ma centrale per le politiche del governo, dopo l’esperienza agli Affari regionali con l’esecutivo Letta e il ruolo di sottosegretario alla presidenza del Consiglio finora svolto. E far valere le sue riconosciute capacità decisioniste e pure mediatorie che non seguono sovente i canoni dell’attivismo frenetico renziano.

Forse per questo la sintonia fra Renzi e Delrio non è totale, anche se è complementare. Piuttosto in ambienti della presidenza del Consiglio, anche tra alcuni renzianissimi, si intravvede uno scenario di incertezza sulla “macchina” di Palazzo Chigi, in cui Delrio aveva una funzione essenziale da centromediano metodista con associazioni e i tanto bistrattati “corpi intermedi”.

Il rovescio della medaglia è che alla presidenza del Consiglio si potranno radicare definitivamente, prendendo tutte le leve della stanza dei bottoni, i renziani doc come ad esempio Luca Lotti, fidato sottosegretario alla presidenza del Consiglio, che così potrà allargare il suo già ampio campo d’azione.

Solo benefici, o anche un po’ di rischi, con questo nuovo centralismo democratico trasferito a Palazzo Chigi?

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