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Air gun, perché sono a rischio le nuove concessioni tra Mediterraneo e Ionio

Proprio ora che il governo aveva aperto le concessioni nelle acque profonde attorno alla Sicilia, sia verso Malta che verso la Spagna, proprio quando l’Italia poteva sperare nel ritrovamento futuro di giacimenti petroliferi in grado di renderla un po’ più autonoma sotto il profilo energetico, ecco che è arrivato l’emendamento approvato a inizio marzo in Senato in forza del quale l’attività di air gun diventa un reato da sanzionare con pene da uno a tre anni di reclusione. “E’ una cosa talmente assurda e priva di senso che non riesco a capacitarmene. Siamo l’unico Paese in tutto il mondo in cui l’air gun rischia di venire vietato”, commenta esterrefatto Franco Nanni, presidente di Roca (Ravenna Offshore Contractors Association), associazione che riunisce 37 imprese romagnole che lavorano nel settore offshore ed è tra gli organizzatori della rassegna Omc (Offshore Mediterranean Conference & Exhibition), tenutasi di recente a Ravenna.

“NON C’E’ ALTRO SISTEMA PER CERCARE GIACIMENTI IN MARE”

L’ipotesi che l’emendamento approvato in Senato, col parere negativo del governo, possa venire licenziato definitivamente anche dalla Camera, Nanni non vuole nemmeno prendere in considerazione. “Ci hanno dato garanzie che il provvedimento sui reati ambientali sarà modificato, c’è da augurarsi davvero che questa norma non passi così com’è”. Altrimenti? “Chiariamo innanzitutto che l’air gun è l’unico sistema per cercare giacimenti energetici in mare. Una volta si utilizzavano le cariche di esplosivo, quelle sì che potevano causare danni alla fauna ittica, anche se si trattava comunque micro cariche”. Successivamento, continua, “l’innovazione tecnologica ha portato a questa nuova tecnica dell’air gun, consistente in bolle d’aria sparate sott’acqua ed esplose in modo da emettere onde che raggiungono i fondali marini e da lì rimbalzano indietro rivelando tramite l’eco la stratigrafia del fondale”. Un passaggio necessario quindi per decidere dove scavare. “E’ il metodo meno invasivo e più rispettoso dell’ambiente che si conosca, e viene utilizzato in tutto il mondo. Solo in Italia si pensa di vietarlo” spiega Nanni.

IL RISCHIO PARALISI DI UN INTERO SETTORE

Il presidente di Roca non ha dubbi e rilancia l’allarme già sollevato da aziende e sindacati del settore: “Trasformare l’air gun in un reato significa bloccare tutte le ricerche di risorse energetiche nel Mediterraneo e attorno alle coste italiane”. In sostanza, “mentre in tutto il mondo di cercano nuovi giacimenti, noi blocchiamo qualsiasi possibilità di sviluppo”. Il paradosso è che tutto ciò avviene “proprio in un momento molto importante del settore offshore, perché il governo italiano ha finalmente aperto le concessioni nelle acque profonde dove si pensa di trovare il petrolio, quindi tra il Mediterraneo e lo Ionio. Questa è l’unica speranza per l’Italia di trovare futuri giacimenti e garantirsi una certa indipendenza energetica, per questo quanto sta accadendo mi sembra incredibilmente assurdo”. Senza la possibilità di sondare i fondali con la tecnica dell’air gun, l’unica utilizzata in tutto il mondo, “le compagnie petrolifere se ne andranno altrove, e a rimetterci saranno anche le aziende di subcontrattisti che lavorano in tutto l’indotto”, dal momento che “se si impedisce di esplorare i fondali marini si toglie qualsiasi possibilità di sviluppo successivo del comparto”.

DOVE STA L’INGHIPPO

Paure ancestrali, profonda ignoranza, mancanza di consapevolezza. Questo il mix fatale che ha portato (per ora) in Senato allo stop alle tecniche di air gun. “In Italia succede spesso che qualcuno si sveglia alla mattina e dica qualcosa spaventando le persone, e così si dice no a tutto facendo leva sulla profonda ignoranza” si lamenta Nanni. Per quanto riguarda il contestato emendamento al ddl ecoreati presentato dal senatore ex Pdl Giuseppe Compagnone, Nanni spiega che “è iniziato tutto da un gruppo di ambientalisti siciliani che ha convinto alcuni politici locali a bloccare queste ricerche per evitare che siano fatte al largo delle coste siciliane”. E così è stato fatto. Peccato che “non ci sia la consapevolezza dell’importanza strategica di questo settore, perché dal punto di vista energetico se l’Italia non trova nuovi giacimenti sarà sempre obbligata a fare da serva ai Paesi produttori”.

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