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Cosa mi disse Eduardo Galeano

“Berlusconi santo subito!”. Con queste parole mi aveva accolto, ironico, lo scrittore uruguaiano, Eduardo Galeano, morto oggi a Montevideo all’età di 74 anni. Gli avevano annunciato che c’è una “notizia terribile” in arrivo. Era il 2008 e a turbargli la quiete una mattina di sole a Leuca, seduto ai tavolini dell’Hotel Terminal, in canottiera e con i giornali italiani sotto mano, c’era un’intervista promessa, poi rimandata, di fatto concessa, o meglio concussa, tra minuti in attesa dell’auto che lo doveva portare ad Otranto. “Gli italiani vogliono Berlusconi santo subito – mi disse lo scrittore, guest star del Festival Salento Negramaro del 2008, dove aveva letto brani del suo prossimo romanzo, Specchi in uscita da Sperling & Kupferperché è chiaro che il Cavaliere rappresenta l’incapacità del centro sinistra di dare risposte concrete alla società. Romano Prodi ha deluso nella sua gestione? Adesso si sceglie Berlusconi, la sinistra è impotente”.

FORZA, ITALIA!

Con la dovuta dose di ironia, una condanna senza appello per la sinistra italiana da parte di un intellettuale sudamericano, uno dei più importanti e influenti, che per Berlusconi aveva una vera e propria ossessione. In La Palla come bandiera scrisse del presidente del Milan ed ex presidente del Consiglio: “Molti anni dopo, alla fine del secolo, il proprietario della squadra del Milan vinse le elezioni italiane con uno slogan: Forza Italia!, che aveva la suo origine negli stadi di calcio. Silvio Berlusconi aveva promesso di salvare l’Italia come aveva salvato al Milan, la super-squadra campione di tutto, e gli elettori dimenticarono che alcune delle sue aziende erano quasi in rovina”.

CATTIVA COSCIENZA

Ancora, in una conversazione con La Vanguardia di Spagna, aveva parlato di Berlusconi come di “un tipo che da primo ministro ha detto che ‘solo gli imbecilli pagano le tasse’”. La vittoria elettorale del Popolo delle Libertà, per Galeano, significa “una ricompensa all’elogio della trappola. In qualsiasi caso, la presunta inferiorità dell’altro è una coartata ideologica per giustificare lo sfruttamento, la sottomissione, il diritto di conquista. La cattiva coscienza sempre ha bisogno di consolazioni”.

GLI STRANIERI E NAPOLI

Quando gli chiesi quali erano state le cose che più lo avevano colpito, stando in Italia in quei giorni, mi disse: “La paura per gli stranieri e i diversi, come i rom e gli omosessuali” e il caso del capoluogo campano: “Una situazione rocambolesca quella di Napoli – spiegò – perché comunque si tratta di una città europea, non sudamericana, per esempio, dove tutto, il realismo magico insegna, è possibile”. Lo scrittore non riusciva a spiegarsi la soluzione di trasportare la spazzatura in treni verso la Germania: “In generale i rifiuti si portano dal nord verso il sud, ma quello che succede in Italia è incredibile. E ha un costo molto alto. Come si fa ad affogare una città come Napoli con l’immondizia? Perché non si risolve subito questa emergenza? Per questo la sinistra ha perso, c’era la sinistra a Napoli, no?”.

LE VENE DI AMERICA LATINA

Galeano guardava il mare di Leuca, con l’acqua chiara e luminosa, e rammentava un po’ il mare caraibico. Ma sull’America latina non fece nessun commento, anche se si voleva conoscere la sua opinione su quello che accadeva a Cuba, in Bolivia e Venezuela. L’autore di Le vene aperte dell’America latina era uno dei massimi sostenitori di Chávez, in forte polemica con Mario Vargas Llosa. “Ma perché lo chiedete a me? – rispondeva – chiedetelo al Papa o al vostro santo Berlusconi”.

RITI AFRO-BRASILIANI

La sera prima, a cena con gli organizzatori del festival a Marina di San Gregorio, a pochi chilometri da Santa Maria di Leuca, Galeano aveva raccontato storie improbabili e superstiziose, nel miglior stile sudamericano. “La rivoluzione in Spagna la faranno i vecchi”, disse, per poi raccontare un oscuro rito afro-brasiliano, a cui ha assistito nel 1968, a Rio de Janeiro: il rito del diavolo attuante, di Vovô Catarino. In pratica il rito consiste nel mettere la foto di una persona che odi nella bocca di un rospo (bocca che poi viene cucita) e dopo otto giorni il povero rospo muore di fame e, insieme con lui, muoiono anche le persone ritratte nella fotografia. Loro, nel 1968, misero la foto di René Barrientos, il dittatore, che in effetti morì dopo otto giorni.

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