Skip to main content

DISPONIBILI GLI ULTIMI NUMERI DELLE NOSTRE RIVISTE.

 

ultima rivista formiche
ultima rivista airpress

Giornalisti in toga

Non ha tutti i torti, diciamo pure che ha tutte le ragioni, l’insospettabile Luciano Violante, già magistrato, già presidente della Commissione parlamentare antimafia, già presidente della Camera, già dirigente comunista e post-comunista, già accusato sarcasticamente dall’allora presidente della Repubblica Francesco Cossiga di essere emulo di un assai tristemente famoso procuratore di Stalin nei tragici anni delle purghe sovietiche, quando nella sua nuova veste un po’ autocritica di garantista a ventiquattro carati sostiene la necessità di separare le carriere non tanto dei pubblici ministeri e dei giudici quanto dei pubblici ministeri e dei giornalisti. Almeno di quelli abituati da tempo a raccogliere e diffondere come oro colato tutto ciò che esce dalle Procure e ad imbastire contro indagati e imputati processi mediatici immediati, e rovinosamente sostitutivi di quelli veri, destinati a svolgersi dopo molto tempo nelle aule dei tribunali, e magari a non svolgersi neppure per l’intervenuta archiviazione delle indagini, senza rinvio a giudizio.

Di colpo i capi delle Procure della Repubblica di Milano e Roma, Edmondo Bruti Liberati e Giuseppe Pignatone, sono precipitati dalle stelle alle stalle nella rappresentazione della cronista giudiziaria della Repubblica, Liana Milella, per avere osato sostenere davanti alla Commissione Giustizia della Camera che i giornali dovranno e potranno pubblicare solo “quanto è contenuto nelle ordinanze di custodia”, già abbondanti di loro per sapere delle imputazioni per le quali l’indagato è finito in manette, o agli arresti domiciliari. Tutto il resto, “perfino le richieste del pubblico ministero, di solito più generose di dettagli, nonché le informative della polizia e i brogliacci delle intercettazioni, pur depositate per gli avvocati – scrive desolata la Milella – non potranno finire sui giornali”, almeno fino a quando non passeranno dalle scrivanie dei legali nelle aule dei processi.

Probabilmente, ad essere finalmente separate dovrebbero essere anche le carriere, o i mestieri, degli avvocati e dei giornalisti, evitando che questi ultimi ne diventino i “trombettieri”, per ripetere una immagine – quella appunto del trombettiere – di recente evocata autocriticamente da Vittorio Feltri, sul Giornale, per ricordare i rapporti da lui avuti nella stagione di Mani pulite con l’allora sostituto procuratore Antonio Di Pietro, Tonino per gli amici. Che aiutò generosamente Feltri a portare il suo pericolante Indipendente da 20 mila a 55 mila copie, ritardandone quella che lo stesso Feltri ha definito la destinazione “cimitero”.

Gli avvocati sono una parte del processo, al pari dei pubblici ministeri. Hanno interessi opposti a diffondere notizie ai giornalisti, ma sempre interessi di parte, sempre a scapito di altri, magari incolpevoli, ma che intanto dovrebbero meritarsi la gogna, secondo un certo modo di fare informazione.

Nella foga della delusione per le sortite dei capi delle Procure di Milano e di Roma, accusati anche di avere steso un tappeto rosso a Matteo Renzi” in cambio di una immutata possibilità di ricorrere alle intercettazioni, è sfuggita alla Milella la denuncia di una “rivoluzione nell’equilibrio esistito finora tra magistrati e giornalisti da una parte e politici dall’altra”. L’equilibrio cioè, per tornare a Violante, della carriera unica dei magistrati e giornalisti, o dei pubblici ministeri e cronisti giudiziari.

In questa situazione scambia solo la libertà d’informazione per licenza di linciaggio chi evoca il pericolo del bavaglio, aggravato dalle multe a editori e giornalisti, anche se un altro magistrato di punta come Nicola Gratteri, mancato ministro della Giustizia nel governo Renzi, vorrebbe pure il carcere.

CONDIVIDI SU:

Gallerie fotografiche correlate

×

Iscriviti alla newsletter