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Renzi da Obama. Evitiamo trionfalismi

Può sembrare un paradosso, ma il capo del governo italiano che più ha proclamato di ispirarsi al modello politico americano (sia pur di una America progressista) ha penato un anno prima di farsi ricevere da Barack Obama alla Casa Bianca. Il Corriere della Sera ci tranquillizza: i rapporti sono consolidati. Ma non sono in realtà numerosi i colloqui privati in occasione dei vertici internazionali. Negli archivi si trovano molte foto, ma poche parole e pochissimi fatti, quelli che contano. Come mai? Non era successo con Monti né con Letta. Quanto a Berlusconi, era pro Bush più che filoamericano, ma come ignorare l’indimenticabile discorso al Congresso?

Una spiegazione l’ha data qualche giorno fa a tavola un autorevole banchiere d’affari italo-americano: Renzi era un perfetto sconosciuto, senza rapporti internazionali, è piombato come un uragano, ha detto di voler rottamare tutto, suscitando stupore, speranza ma anche scetticismo. Wait and see è stata la reazione del Dipartimento di Stato, della Casa Bianca, di Wall Street. Mario Monti fa parte dell’élite globale, Enrico Letta anche, sia pur come junior partner, Renzi non ancora. Wait and see, dunque, perché l’Italia non e’ più un pericolo per la stabilità europea e internazionale, l’emergenza è finita anche grazie agli Stati Uniti che hanno dato una mano soprattutto a Monti quando si trattava di smussare gli angoli con la Germania, di convincere Angela Merkel a non tirare troppo la corda. Raggiunto l’obiettivo, passata la tempesta, l’Italia è rientrata nella normalità. Dunque, a che pro sconvolgere l’agenda degli appuntamenti?

Questa interpretazione sembra confermata dal fatto che Renzi non va a discutere in inglese con autorevoli pensatoi come fece Monti, preferisce un incontro con lo staff del Washington Post o un bagno giovanilistico alla università dei gesuiti, la Georgetown. Ciò non significa che il colloquio alla Casa Bianca non abbia per oggetto questioni rilevanti, dalla Libia dove l’Italia si candida a guidare una missione stabilizzatrice e gli Usa non sono disposti a dare se non i droni, alla Russia dove la linea diplomatica italiana è da tempo in rotta di collisione con quella americana.

Renzi spera soprattutto di ottenere una mano per far ripartire davvero l’economia. Padoan a Washington si è scontrato con la prudenza del Fmi dove ha lavorato per anni: la crescita italiana sarà solo dello 0,5% meno dello 0,7 previsto dal governo. Faremo meglio, promette il ministro dell’Economia. Tuttavia l’idea che la spinta possa venire da un flusso di dollaroni è campata per aria. I capitali arrivano, ma per acquistare asset a buon mercato, non per investimenti diretti che creano posti di lavoro. Lo stesso, del resto, vale per gli arabi o per i cinesi.

La ragione è molto seria e molto semplice, spiega il nostro banchiere italo-americano: l’Italia non è considerata un Paese in cui il capitale possa mettere a frutto i suoi spiriti animali. Il Jobs act può essere un punto di partenza, ma il cammino è lungo, ha a che fare con il sistema giudiziario, civile e penale, con la garanzia per la proprietà (il caso Ilva insegna), con la cultura di un Paese dove prevalgono veti lobbistici e no ideologici. Allora, comprare e vendere per far soldi subito è ok , ma immobilizzare in Italia il denaro a medio e lungo termine è tutta un’altra cosa. Obama non può certo cambiare questo convincimento comune, anche perché e’ fondato sulla realtà. Quanto a Renzi, ha cominciato a cambiare qualcosa di quella realtà ma non è che l’inizio. E tra un anno Obama farà le valigie.

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