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Teoria del gender, le mie precisazioni

Rispondo volentieri alle sollecitazioni di alcuni signori e signore lettori di Formiche che indicano con risibilità l’uso della pratica del copia/incolla senza citarlo, di un articolo di Avvenire nel pezzo del mio post sul gender.

Ebbene tengo a precisare che le definizioni scelte per argomentare la mia adesione al pensiero di Papa Francesco, sicuramente anche se riportate, non sono solo ispirate dall’autorevole Avvenire (che pur volentieri consulto) sulla materia. Ma, mi si perdoni l’ardire, più volte menzionate in studi che non ho la presunzione di ricordare per sintetica argomentazione (dal blog), ma che sommessamente suggerisco a chi vuole, senza farne una polemica inutile, affrontare con almeno cognizione di interesse.

La questione delle politiche antidiscriminatorie è la questione che strumentalizza la teoria del gender, alle quali è stata coniugata la condivisione dei punti argomento del blog e di altri autorevoli commentatori e studiosi che in queste ore intervengono sul tema GENDER. Sono convinta e non da oggi che la classificazione degli esseri umani in 5 o più generi sessuali è un controcanto costruito sostanzialmente versus l’antropologia cristiana e risale a una ricerca finanziata nel 1940 dalla Rockefeller Foundation a Alfred Charles Kinsey.  La ricerca condotta da Kinsey, insieme ai suoi collaboratori, è contenuta in due volumi intitolati: Il comportamento sessuale dell’uomo (1948) e Il comportamento sessuale della donna (1953). Dunque la questione viene da lontano e non solo modernamente agitata come una clava a fini politici assai ben poco nobili ma molto evidenti di cui mi sono convinta.

Poiché da tempo si tende a voler confondere le politiche di pari opportunità per sostenere lo sviluppo di politiche attive per l’occupabilità femminile (è parte del mio lavoro) con le politiche di gender e, poiché le politiche antidiscriminatorie e preventive ne sono a parere di chi scrive possibile strumento e dunque riduzione del danno, un percorso di approfondimento mi ha sostenuto, per arrivare consapevolmente e evidentemente ad avvalorare i punti del precedente post anche a difesa appunto di un impegno sui temi della questione femminile distratto dalla modernità delle teorie del gender.

Così suggerisco la lettura della rivista Science che più volte ha affrontato la questione con riflessioni di e interessante contenuto. Ricordo che si possa essere maschi, femmine, omosessuali, lesbiche, transessuali, ecc., sono stati gli uomini a decidere quanti e quali sono i generi sessuali, tanto è vero che i 5 generi sopra menzionati sono stati stabiliti da alcune ONG (organizzazioni non governative) alla IV Conferenza dell’ONU sulla donna svoltasi a Pechino nel settembre del 1995 e, da questo periodo in poi, i mezzi di comunicazione sociale sono stati i portavoce di questa inedita antropologia che, in un principio di democrazia e libertà si deve poter non condividere. Appunto.

Allora a supporto dei punti del precedente post mi permetto soprattutto per chi vuole ancora polemizzare sul copia/incolla. Affermo per completezza, l’ideologia del genere non è limitata al movimento femminista o ai fautori della queer theory, ma si va diffondendo attraverso il sostegno di prestigiosi organismi internazionali, attraverso interventi mirati sui programmi scolastici, attraverso provvedimenti penali emanati sotto lo scudo pretestuoso dei diritti umani e della tolleranza civile, attraverso la diffusione di visioni fuorvianti anche della famiglia , e attraverso la pressione dei mezzi di comunicazione sociale che “normalizzano” comportamenti e stili di vita diversi, non da tutti condivisibili. Sono messe in discussione realtà umane essenziali e irrinunciabili: l’uomo e la donna nella loro specificità e reciprocità, la corporeità maschile e femminile come espressione anche sessuale, il senso umano del procreare nel contesto della relazione delle persone, l’amore tra due persone che formano la famiglia naturale come insostituibile comunità di vita e d’amore.

Ancora. Quanto alla definizione scientifica del gender l’American Psychiatric Association, DSM-IV-TR, nel 2000 in relazione ai Disturbi Sessuali NAS, descrisse una diagnosi che prevede per qualsiasi orientamento sessuale (bisessuale, eterosessuale e omosessuale) una “persistente ed intenso disagio collegato al proprio orientamento sessuale”. Nella versione del 2007, l’International Classification of Deseases, stilato dall’ OMS, le patologie correlate all’orientamento sessuale (sono incluse nella categoria “Disorders of adult personality and behaviour” nella sottocategoria “Psychological and behavioural disorders associated with sexual development and orientation”. All’interno, dopo la seguente nota: “Sexual orientation by itself is not to be regarded as a disorder”, i diversi orientamenti sessuali (bisessualità, eterosessualità ed omosessualità) vengono citati di concerto e in egual misura in relazione a possibili disturbi.

Ancora. Quanto alla scelta di operare nelle istituzioni scolastiche, nei paesi dove l’ideologia del gender viene diffusa direttamente da chi governa è in atto una vera e propria opera di indottrinamento che comincia sin dalla più tenera età. In Svezia, per esempio, esiste da due anni Egalia, un asilo dove l’educazione dei bambini viene fatta senza alcuna distinzione di genere, dove sono stati aboliti i pronomi maschili e femminili in cambio di generici pronomi neutri, e vengono usati giochi uguali per tutti. Un’esperienza simile è quella dell’asilo di una località vicina a Parigi, dove dal 2009, con il pretesto di combattere gli stereotipi di genere, si è offerto ai bambini un’educazione non differenziata secondo il sesso. Poi questo esperimento è stato esteso a circa 500 scuole primarie francesi.

Insomma la teoria del gender è da tempo uscita dalle pagine scritte di alcuni per entrare prepotentemente nei luoghi dove si formano le generazioni future. In Italia siamo arrivati già a questo livello e ci stiamo ancora chiedendo perché circola e ora è fortemente sostenuto, un documento firmato dal Dipartimento delle pari opportunità e dall’UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali) della Presidenza del Consiglio dei Ministri, dal titolo piuttosto stravagante: Strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere. E ancora di vari progetti sostenuti e finanziati dalla stessa Presidenza del Consiglio dei Ministri. Vorrei allora a chi punta il dito sulla sintesi essenziale che ho adottato anche in sintonia con un mondo associativo ben riportato anche da Avvenire, ma non solo appunto, suggerire per maggiore informazione, alcuni testi di Mario Binasco della Fondazione Magna Carta in cui si affronta la differenza umana, l’interesse teologico della psicoanalisi che affronta comunque tesi interessanti sulla cultura del gender come sfida antropologia e alla morale cristiana; Atti del Forum Nazionale delle Associazioni famigliari, dove troviamo a cura di Aliteia Valutazioni sulla teoria del gender della Prof.sa Ludovica Carli già dall’agosto del 2013, oppure ancora appunto la rivista “Noi genitori e figli” in buona sostanza a riprova della sintesi essenziale del blog precedente. Sono molto convinta che riconoscere le differenze non significa discriminare, mentre ricorrere ai criteri di eguaglianza e non­ discriminazione in maniera assoluta può giustificare qualsiasi esito, come quelli di cancellare le diversità di genere o di inventare “nuovi diritti”.

Definire discriminazione una qualsiasi differenza è dunque un falso egualitarismo in cui non esistono più volti, ma tutto è indistinto, amorfo, intercambiabile e funzionale. Cancellare le differenze reali non è inclusione ma confusione. E come afferma Matteo D’Amico è giusto domandarci se l’ideologia del gender e l’omosessualismo ci sta portando verso un nuovo totalitarismo. Il “gender” si è trasformato da teoria socio-psicologica a proposta politica che emargina la vera questione femminile e l’impegno politico e concreto a valorizzare il lavoro e il valore sociale delle donne.

I sostenitori radicali del gender riescono a infiltrare programmi scolastici e iniziative legislative. Si sta insomma riproducendo, sotto l’involucro del “gender”, quel tentativo di formare una “coscienza di classe” che è tipico di tutte le ideologie politiche. Il passo successivo, di cui già avvertiamo le conseguenze, è la pretesa dell’omologazione, la dittatura del pensiero unico, in questo caso la “gendercrazia”. Appunto.

E aggiungo che le affermazioni sopra riportate NON hanno presunzione di completezza.

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