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Pensioni Inps, cosa (non) capisco dei piani di Boeri

Nella sua intervista ad un importante quotidiano il presidente dell’Inps, Tito Boeri, pone diversi problemi: di metodo e di merito, come si diceva una volta nelle discussioni di carattere politico.

Cominciamo dal metodo. Chi autorizza l’Istituto di via Ciro il Grande a sottoporre al Governo quelle proposte sulle politiche di welfare che Boeri ha annunciato per il prossimo mese di giugno? Con questa domanda non ci limitiamo ad avanzare rilievi di carattere formale, ma intendiamo sollevare questioni sostanziali. Infatti, non è la prima volta che l’Inps si impegna nel portare avanti delle modifiche dell’ordinamento previdenziale. Ricordiamo, in particolare, che, ai tempi della gloriosa Prima Repubblica, quando l’Istituto era amministrato dalle parte sociali, fu condotta, in particolare sotto la presidenza di Giacinto Militello, una vera e propria “campagna” per la separazione tra il settore della previdenza e quello dell’assistenza che trovò la sua traduzione legislativa nella legge n.88 del 1989, i cui principi sono ancora alla base delle regole per la formazione del bilancio dell’Inps. Si trattò pur sempre di un intervento a sostegno di una questione di diretto interesse dell’Ente – che aveva un preciso significato anche nell’indirizzo delle politiche e nella valutazione delle performance economiche e finanziarie – ma che non pretendeva di “dare la linea”.

In seguito, l’Inps è sempre stato di supporto, insieme al Tesoro, prima e all’Economia, poi, degli esecutivi che si cimentavano con le riforme del sistema previdenziale; ma le indicazioni generali venivano dal Governo e dal Parlamento. Fino a pochi anni or sono, inoltre, l’Istituto esprimeva una governance, modulata, nel sistema duale, su più organismi, nominati dal Governo e in rappresentanza delle parti sociali. Oggi, ad essere franchi, il profilo istituzionale è quello di “un uomo solo al comando”, visti i poteri che si concentrano nelle mani di un presidente, il quale, nella persona di Tito Boeri, è un prestigioso intellettuale, evidentemente tentato di far passare le proprie idee avvalendosi della “gioiosa macchina da guerra” dell’Ente previdenziale più importante d’Europa.

Ecco, allora, che Boeri svolge il suo ruolo quando dichiara di voler cambiare le modalità di erogazione delle pensioni, sia per rendere più snello il procedimento amministrativo, sia per venire incontro alle esigenze degli utenti; o quando vuole che l’Istituto finalmente sia in grado di comunicare agli iscritti la possibile evoluzione della loro posizione assicurativa e di unificare in un’unica erogazione spezzoni di trattamento ereditati da ordinamenti anch’essi frantumati. E’ altresì importante l’azione di trasparenza che porta a denunciare talune incongruenze del sistema (sono stati fino ad ora evidenziati i casi dei piloti, dei dirigenti industriali e dei ferrovieri), sempreché si eviti la tentazione di criminalizzare intere categorie, i cui trattamenti hanno avuto pur sempre un riferimento in particolari norme di legge. Quanto al merito, chi autorizza l’Inps (forse il ministro Poletti?) a mettere apertamente in discussione le legge Fornero che ha assicurato stabilità di lungo periodo al sistema? Dove sta scritto che è necessario un modello di flessibilità (che nella legge vigente è già previsto fino ai 70 anni) impostato su di un abbassamento dell’età pensionabile, sia pure disincentivato, a fronte degli scenari demografici che ci attendono?

A tali domande si risponde che chi andrà in pensione prima riceverà un assegno più modesto; che si spenderà di più oggi, grazie ad un maggior numero di trattamenti, ma meno domani in conseguenza di un importo più basso (tanto per tranquillizzare la Ue). Eppure, tutta la letteratura in materia assume il prolungamento della vita attiva come condizione primaria non solo della sostenibilità, ma anche dell’adeguatezza delle prestazioni. Non ha un senso compiuto consentire a persone non ancora o appena sessantenni, ancora in grado di lavorare, di andare in quiescenza con una pensione ridotta, per doverli assistere quando avranno 80 anni e il loro assegno risulterà inadeguato rispetto ai loro bisogni. Nell’intervista, infine, il presidente Boeri è stato piuttosto vago per quanto riguarda l’idea di ricalcolare con il metodo contributivo le pensioni più elevate.

Troveremmo piuttosto singolare – e non giustificato da ragionamenti di equità – applicare retroattivamente un diverso sistema di calcolo su trattamenti a suo tempo liquidati in modo conforme alle leggi vigenti. Tanto più che un’operazione siffatta sarebbe macchinosa ed impraticabile (per la mancanza di dati) nel comparto delle amministrazioni statali, oltreché inutile essendo operante per un triennio un contributo di solidarietà molto elevato e modulato per le fasce di pensione superiori a novanta mila euro. Poi, dove sta scritto che gli eventuali risparmi dovrebbero confluire nel finanziamento di un reddito minimo a favore delle coorti comprese tra 55 e 65 anni che si trovino in condizione di difficoltà? I beneficiari della proposta sarebbero i c.d. esodati? Per loro sono state previste ben 6 sanatorie coperte da risorse stanziate più volte e risultate superiori al fabbisogno.

Non succederà allora che l’Inps finisca per farsi carico di una nuova infornata di prepensionamenti, in barba a quanto il Governo intende compiere in materia di politiche attive? Non si dimentichi che quella fascia di età è la sola in cui sia cresciuto il tasso di occupazione.

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