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Rebus Libia. L’analisi di Carlo Jean

Lunedì 20 si riuniranno i ministri degli esteri dei paesi dell’UE per discutere la situazione in Libia. Federica Mogherini ha preparato un documento di riflessione che dovrebbe permettere ai ministri di “discutere concretamente” su cosa l’UE dovrebbe fare. Le soluzioni previste presuppongono tutte che esista un governo libico con cui trattare. Esso non esiste. Perciò ho messo il “concretamente” fra virgolette.

I negoziati fra le varie parti libiche, diretti dal volenteroso inviato speciale dell’ONU, Bernardino Léon, continuano. Ma la probabilità di dar vita a un governo di unità nazionale è ridotta. Quelli esistenti a Tobruk e a Tripoli non sembra abbiano nessuna urgenza né interesse ad accordarsi. Entrambi pensano di poter vincere. Nel frattempo sopravvivono perché sono finanziati dalla Banca Centrale e dalla Compagnia Nazionale del Petrolio.

Forse solo un embargo completo, esteso anche ai generi alimentari che la Libia importa per quasi l’intero suo fabbisogno, potrebbe convincerli a concludere un accordo e obbligarli ad accettare l’intervento internazionale. Per esso la Mogherini ipotizza cinque possibilità. i) sorvegliare un cessate il fuoco a livello locale; ii) proteggere le infrastrutture e le risorse critiche del paese; iii) controllare le frontiere in proprio iv) oppure (soluzione molto più realistica) con un’intesa a livello regionale con gli Stati confinanti; v) limitarsi al controllo delle frontiere meridionali, per evitare il contagio libico nel Niger e nel Mali, e quelle marittime, per controllare in qualche modo l’immigrazione clandestina.

La difficoltà di pervenire a un’intesa fra le varie fazioni libiche deriva anche dal fatto che la comunità internazionale ha esportato in Libia i propri contrasti: Egitto e Emirati, appoggiati dall’Arabia Saudita, sostengono Tobruk; Turchia e Qatar, Tripoli e Misurata. Le priorità sono diverse anche nell’UE.

La Francia sostiene l’Egitto; forse non è contraria alla divisione della Libia, anche per prendere con il Ciad il controllo del Fezzan e proteggere i suoi interessi nel Sahel. L’Italia è fortemente interessata a mantenere l’unità del paese, per evitare che cada nelle mani della criminalità organizzata, specie dei gruppi che praticano il commercio di esseri umani.

I paesi dell’Europa centro-orientale se ne lavano le mani, anche se, formalmente, tutti sostengono i tentativi dell’inviato dell’ONU per giungere a un governo di unità nazionale. Obama ha promesso a Renzi l’interessamento USA, escludendo però ogni coinvolgimento militare. Forse Washington non sarebbe contraria ad appoggiare le mire egiziane, forse anche sul petrolio della Cirenaica. Tale sostegno potrebbe contribuire, come già avviene nello Yemen, ad attenuare l’impressione che gli USA stiano dalla parte dell’Iran, contro la “grande coalizione” sunnita.

Comunque, una cosa è chiara: gli USA non ci “toglieranno le castagne dal fuoco”. Così come è messa, anche l’Europa concluderà poco. Tutto è fondato sulla speranza del successo dell’ONU. Auguri!

A parer mio è un’illusione, come lo è anche l’eventualità di un intervento occidentale, Manca un “Piano B”, relativo a che cosa fare in caso di fallimento della mediazione dell’ONU. Nessuno ne vuole parlare, anche perché il mantenimento dell’unità libica eviterebbe un mucchio di guai. Tutti parlano di una soluzione regionale. Nessuno accenna però al fatto che un intervento egiziano e algerino (quest’ultimo escluso dalla vigente costituzione) e a Sud del Ciad metterebbe in forse l’unità del paese. Accrescerebbe il pericolo che si scateni una lunga guerriglia e che la Libia cada nelle mani di gruppi terroristici radicali e della criminalità organizzata, che si assocerebbe immediatamente a essi.

In sostanza il problema libico non è solo umanitario e non riguarda solo l’immigrazione. E’ strategico. Potrebbe riguardare anche la sicurezza esterna dell’Europa, qualora l’ISIS prendesse il controllo di parte del territorio. Forse tale pericolo è ingigantito dai media occidentali, che operano da cassa di risonanza della brillante comunicazione dell’ISIS. Per ora esso è debole. Dispone solo di qualche centinaia di combattenti. Se si espandesse, dovrebbe vedersela con le milizie tribali e locali, che controllano il territorio. L’ISIS è attaccato a Sirte dalle milizie di Misurata. Esse non hanno spinto l’attacco a fondo. Temono che si rafforzi il governo di Tobruk e il generale Haftar. Non vogliono rinunciare al sostegno dei fedeli del Califfato, qualora si trovino in difficoltà rispetto a un attacco delle forze fedeli al governo di  Tobruk.

In sostanza, il documento di riflessione non affronta il problema di fondo: che cosa fare in caso di fallimento del tentativo di formare un governo libico con cui poter trattare. La riunione dei ministri degli esteri europei dovrebbe affrontare anche il “Piano B”, tenendo conto di quanto sembrano orientati a fare e a non fare gli USA e i paesi confinanti con la Libia.

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