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Due domande alla minoranza Pd sull’Italicum

Ho letto sul sito di Pietro Ichino gli appunti preparati da Augusto Barbera, professore di diritto costituzionale all’Università di Bologna, per l’audizione sull’Italicum che si è tenuta alla Camera il 13 aprile scorso. Per quei deputati della minoranza Pd che non vi hanno partecipato, e che si apprestano a fare scintille nell’aula di Montecitorio, ne riassumo in estrema sintesi due passaggi.

1) Premio alla lista più votata e non alla coalizione di liste. È una soluzione che per Barbera tiene conto di una critica martellante che negli anni scorsi veniva rivolta a tutti i sistemi maggioritari: quella di dare vita a coalizioni rabberciate, idonee a vincere ma non in grado di governare. Critica non infondata (ricordate l’Ulivo di Prodi con il senatore Turigliatto?), che è stata alla base dell’iniziativa referendaria del 2009 (appoggiata da Walter Veltroni). È vero che la coalizione di liste può essere soppiantata da una “lista di coalizione”, ma si tratterebbe – chiosa il costituzionalista – di una lista pur sempre legata al medesimo programma e al medesimo leader, con non pochi benefici per la governabilità.

2) Sistema delle preferenze. I suoi vantaggi e svantaggi sono arcinoti. Da male “assoluto” non possono però trasformarsi in “bene assoluto”. E, a proposito dei capilista nominati, nella prima Repubblica – dove i voti di preferenza contavano (nel bene e nel male) – c’è mai stato un capolista che non sia stato eletto? E ciò non avveniva proprio perché collocato dal proprio partito (quindi “nominato“) in quella posizione di visibilità e preminenza?

Barbera, infine, chiede ai sostenitori dell’allargamento delle preferenze se non temono che il nuovo reato di “scambio politico elettorale” (la nuova formulazione dell’art.416 ter approvato nell’aprile 2014) possa appesantire il lavoro della Procure della Repubblica.

Fino a qualche anno fa, infatti, si consideravano virtuose le regioni ove si registrava un minor numero di preferenze esprimibili (il 15% circa in Lombardia o Veneto rispetto all’80% circa dei territori meridionali), perché meno inquinate da voti clientelari. Ma oggi, viste le infiltrazioni della criminalità organizzata anche nelle regioni settentrionali, dovrebbe preoccupare ancor più lo scarso ricorso al voto di preferenza (il controllo di poche centinaia di voti da parte di gruppi di pressione non sempre limpidi sarebbe più che sufficiente per eleggere il candidato “gradito”).

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