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Libia e sbarchi, chi vuole (e chi no) i droni armati

Fermare con i droni le carrette del mare degli scafisti prima che salpino dalle coste libiche è in queste ore una delle ipotesi più discusse a Palazzo Chigi. Corre, però, il rischio di rimanere tale. Sebbene un’opzione simile non sia da scartare, per alcuni osservatori sono troppi gli impedimenti che la rendono impossibile al momento.

LA PROPOSTA DI TRICARICO

Uno dei primi a credere nell’uso di aeromobili a pilotaggio remoto (Apr) per arginare l’immigrazione clandestina è stato il generale Leonardo Tricarico, presidente della Fondazione Icsa. Per l’ex capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica, intervenuto sul tema su Formiche.net, “questa soluzione sarebbe praticabile senza alcuna difficoltà tecnico operativa e senza che una goccia di sangue venga versata, neanche quella dei criminali che gestiscono il traffico”. Come fare, dal momento che l’Italia non possiede droni armati? “Fino a questo momento si sono sempre detti contrari, ma da diverse parti mi hanno assicurato che i tempi sono maturi per farlo. Washington ha cambiato idea in merito”.

TEMPI LUNGHI?

Potrebbe essere anche questo un percorso tortuoso. Se anche fosse vero, sottolinea oggi Paolo Valentino dalle pagine del Corriere della Sera citando fonti militari, “occorrerebbero da 6 mesi a un anno” per farlo e “avere un embrione di capacità operativa”.
Un impedimento che, per Tricarico, si potrebbe bypassare chiedendo inizialmente i droni “in prestito” dagli Usa, “in attesa di negoziare l’acquisto di ciò che ci serve e perfezionare l’addestramento”. Si tratterebbe di una prima, anzi, di una “seconda” assoluta. Escluso il fidato Regno Unito, nessun altro grande Paese dell’Ue conta su Apr dotati di missili. “Nel 2011” con il governo Monti e il ministro della Difesa Giampaolo Di Paola – aggiunge il quotidiano diretto da Ferruccio de Bortoli – “il nostro Paese ha avviato le procedure per ottenere dagli Usa l’autorizzazione (cioè la tecnologia)” ad armare i sei Reaper acquistati dal 2009 al 2011 dalle nostre Forze armate (a cui si sommano anche sei Predator di prima generazione, che però possono assolvere solo a compiti di sorveglianza e ricognizione). La decisione finale spetta al Senato americano, che non si è ancora espresso, seppur sembrino esserci segnali incoraggianti.

L’IPOTESI P.1HH

Ma quella strategia militare, secondo Il Fatto Quotidiano, potrebbe essere già sorpassata, perché il drone armato, l’Italia, ce l’avrebbe in casa. “Il 7 novembre 2014 – scrive Carlo Tecce del Fatto – , Matteo Renzi ha visitato una fabbrica di Piaggio Aerospace a Villanova d’Albenga (l’emiratina Mubadala Development Company detiene il 98,05% del capitale sociale di Piaggio Aerospace, ne è quindi l’azionista di maggioranza). Proprio nella città del savonese – continua il giornale diretto da Marco Travaglio –  “vengono costruiti i droni P.1HH”. Palazzo Chigi ne “ha già prenotato sei esemplari”, che “dovranno sostituire i Predator destinati a un precoce riposo e – questa la novità – potranno montare missili”. Anche quest’ipotesi, però, non supera del tutto l’ok degli addetti ai lavori. Un esperto di cose di difesa sentito da Formiche.net lo spiega così: “Il P.1HH Piaggio è un ottimo prodotto, ma è ancora in fase di sperimentazione. Potrebbe passare un po’ di tempo prima di utilizzarlo per condurre missioni di quel tipo”. Tempo che forse Palazzo Chigi non ha più.

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