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Ma davvero lo Stato islamico è una realtà orwelliana ideata da un uomo di Saddam?

Il settimanale tedesco Spiegel ha pubblicato qualche giorno fa un importante articolo che racconta come è avvenuta la costruzione programmata dello Stato islamico. Il pezzo si basa su due set di documenti esclusivi ritrovati nell’abitazione in cui a gennaio dello scorso anno è stato ucciso Haji Bakr, e nel quartier generale dell’IS ad Aleppo, in Siria.

Haji Bakr è stato un importante colonnello dei servizi segreti dell’aviazione irachena ai tempi del regime baathista di Saddam Hussein, e secondo lo Spiegel è il capo strategico che ha pianificato per anni la costruzione dell’IS. Nei documenti, manoscritti da Bakr stesso, a cui i giornalisti tedeschi hanno avuto accesso, è spiegata la formazione dell’intera catena di comando dello Stato islamico: sono fonti pure, ma c’è comunque da stare un filo prudenti. Lo Stato islamico ha anche importanti ideologi e ideatori sauditi e comandanti militari tunisini, siriani e ceceni. La forza del gruppo è quella di sfruttare al meglio le skill dei suoi componenti: nel caso di Bakr, la capacità di organizzare una struttura di controllo; nel caso generale degli ex ufficiali baathisti, la disperazione umana, la brama di nuovo potere, e la voglia di vendetta.

Il “Signore delle ombre” (un soprannome di Bakr) avrebbe delineato l’impalcatura dell’IS dai vertici al locale, partendo dall’Iraq e studiando l’infiltrazione segreta all’interno dei singoli villaggi siriani. Quello teorizzato da Bakr, era il progetto per un cambio di gestione statale, «un Califfato gestito da qualcosa che somigliava alla famigerata Stasi, l’agenzia di intelligence interna della Germania dell’Est» spiega lo Spiegel. Tutto doveva partire dalla creazioni di un anonimo Dawah, un innocuo e silenzioso centro missionario islamico, che fungeva da piattaforma di predicazione e reclutamento. All’interno dei centri venivano individuati dei potenziali collaboratori, elementi che sarebbero stati in grado di spiare e fare rapporto su ogni dettaglio del villaggio (le famiglie più potenti, gli individui di riferimento di questi clan famigliari, fonti di reddito, l’organizzazione dei ribelli, eventuali attività illegali, chi erano i chierici locali e di cosa parlavano i loro sermoni, punti di ricattabilità dei potenti del posto). Raccogliere informazioni per potersi diffondere puntualmente nei territori siriani, come punto di partenza per poi invadere l’Iraq: era questo il progetto di Bakr ─ non troppo diverso da come è andata.

Nei piani erano contenute anche indicazioni sulla costruzione della statehood (finanze, scuole, mezzi di comunicazione, commerci di contrabbando basati sull’esperienza dell’elusione delle sanzioni degli anni Novanta, etc), ma l’aspetto del controllo orwelliano al limite del paranoico degli elementi locali, era la parte primaria e maggiormente enfatizzata, secondo Spiegel. Spionaggio; controllo; presa. In un pezzo analogo di inizio aprile, il Washington Post aveva raccontato attraverso la testimonianza di alcuni pentiti la diffusione di questa rete organica, i cui punti nodali erano rappresentati da uomini ex Baath (ex ufficiali di Saddam), che avevano organizzato la struttura di controllo e persuasione ─ uno schiaffo alla legge di de-baathificazione che il governatore pro tempore americano Paul Bremer aveva promulgato nel 2003, con cui «da un giorno all’altro 400mila membri dello sconfitto esercito iracheno furono esclusi da incarichi militari e fu negata loro la pensione» (Liz Sly sul WaPo).

Un altro aspetto estremamente interessante, è che Haji Bakr era fondamentalmente un laico, come da estrazione baathista, un nazionalista non un islamista: ma lui aveva teorizzato, fin dai primi incontri con Abu Musab al Zarqawi (il leader di al Qaeda in Iraq, front man della Sunni insurgency, che mentre in Occidente è visto come uno spietato terrorista, nel mondo tribale sunnita è considerato una sorta di eroe nazionale), che il sistema da imporre dovesse avere una legittimazione religiosa, si doveva creare un’élite scelta che governava apparentemente per volere di Dio: in questo ha un peso anche l’approccio più religioso che Saddam aveva dato alla sua governance negli ultimi anni del regime. Zarqawi aveva sempre tenuto i baathisti a distanza, perché diffidava dell’approccio laico. Dopo la sua morte e quella del suo successore diretto, secondo i documenti raccolti dai tedeschi, sarebbe stato proprio Haji Bakr uno di quelli che scelse l’attuale califfo al Baghdadi come capo dell’allora Isis: era un uomo dotato di una profonda cultura religiosa, utile nello sviluppo del piano, e allo stesso tempo più aperto ai baathisti. Bakr aveva conosciuto Baghdadi nel carcere di Camp Bucca, luogo che già altri testimoni avevano indicato come bacino colturale (di radicalizzazione e organizzazione) dello Stato islamico.

L’inchiesta dello Spiegel è molto importante, perché dimostra il grosso link esistente tra gli uomini che facevano parte del regime di Saddam e l’attuale Stato islamico. Notizie su questi collegamenti erano già note. Per esempio, a Tikrit la vendetta dei baathisti di Saddam, estromessi dal potere dagli americani prima e dal governo settario di Maliki poi, si è consumata con il massacro delle reclute sciite dell’esercito iracheno avvenuto il giugno scorso a Cob Speicher ─ una ferita che rappresenta una sorta di “Marzabotto” nella coscienza nazionale irachena. Appena pochi giorni fa, invece, è stato ucciso Ezzat al Douri, braccio destro di Saddam, il “re di fiori” del mazzo di carte con cui il Pentagono ai tempi dell’invasione d’Iraq indicava i sessanta più pericolosi notabili del regime iracheno. Al Douri ha costituito una brigata, la Naqshbandi, che ha pesantemente aiutato le bandiere nere di Baghdadi a prendere Falluja il gennaio scorso ─ e ha sfilato trionfante per le strade della città, le stesse percorese una decina di anni prima dagli americani (chiaro il simbolismo?).

Secondo alcuni esperti, comunque, il ruolo dei baathisti non va esagerato. C’è stata una componente organizzativa, che ha permesso alla testa dell’organizzazione di avere un controllo sulla popolazione e sui subalterni, di fornire formazione militare, di aprire la strada ai commerci e alla gestione statale. Ma bisogna essere cauti nel dire che dietro alla più confessionale e ideologizzata delle realtà statuali del mondo, c’è una lunga progettazione pseudo-laica, ordita da rancorosi uomini del regime iracheno, che hanno studiato per anni il modo per riprendersi il potere in modo credibile e con il consenso (raggiunto con l’inganno) della popolazione locale. La componente del jihad nella costruzione dello Stato islamico è centrale: l’IS è molto di più di un “regime di Saddam 2.0”.

@danemblog

(Foto: Foreign Policy)

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