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I morti nel Mediterraneo, Giovanni Paolo II e le responsabilità della politica internazionale

Il terzo millennio si sta ponendo all’attenzione dell’umanità per indifferenza e ipocrisia, peculiarità anche della nostra Europa. Non prendendo coscienza di tale condizione, il Vecchio Continente rischia l’irrilevanza. I morti che gli italiani periodicamente contano in solitudine nel mare di Sicilia, sulle coste italiane, sono il prodotto di un bieco cinismo e di un consapevole egoismo nazionalistico. Sono la risultante di un malinteso concetto di “globalizzazione”. Per alcuni bella, buona, da abbracciare senza troppi distinguo:  è il sol dell’avvenire perché procurerà all’intera umanità benessere e prosperità. Una teoria apprezzabile, da diffondere, se fosse davvero così, ma non è così. Esiste una “globalizzazione” buona ed un’altra iniqua: la prima porta ricchezza e benessere a chi possiede gli strumenti necessari per approfittarne, l’altra, invece, tra i meno fortunati provoca impoverimento, sofferenza, miseria, emarginazione tanto da rendere sempre più numerosa l’umanità dolente. Il Pianeta, non in termini geografici, ma dal punto di vista socio-economico, si arricchisce ogni giorno di nuovi Sud perdendo nel contempo diversi Nord. Se non ci sarà riequilibrio, se non si ridurrà il gap tra questi estremi si continueranno a contare i morti alla frontiera tra disperazione e benessere, come oggi accade nelle acque del Mediterraneo. L’angoscia, l’afflizione per la condizione vissuta nella patria di origine sono tali che per raggiungere paesi più fortunati si è disposti anche a sacrificare l’unico bene prezioso posseduto: la vita. E allora non sono più le tragedie cicliche cui assistiamo nel canale di Sicilia, che pure arrecano tristezza e tormento alle nostre coscienze, a dovere scuotere la sensibilità degli uomini di governo dei vari paesi del benessere, ma la nuova condizione di vita dell’umanità che, se è cambiata ed è cambiata, richiede misure complessive e non occasionali. La “globalizzazione” non può riguardare solo gli affari e le necessità del Capitalismo, occorre globalizzare la povertà, il bisogno, le esigenze della gente meno fortunata. Il Pianeta, seguendo il circuito triangolare capitale, scienza, tecnica vive una nuova fase che arreca benefici enormi ad alcuni ma non ad altri, allora è auspicabile che i benefici siano goduti in proporzione da tutti, dal debole al ricco. L’immigrazione regolare o clandestina non può riguardare solo l’Italia o l’Europa, è oggi il “problema” del Mondo. I governi nazionali singolarmente non possono farcela, è necessario che un organismo giuridico internazionale riconosciuto e legittimato governi il Pianeta del terzo millennio della storia dell’umanità, perché le disuguaglianze, le disparità siano ridotte al minimo.
La politica internazionale prima si reggeva su due pilastri: Usa e URSS governavano e controllavano che non ci fossero deviazioni pericolose dall’ordine mondiale stabilito. La caduta del Muro ha rafforzato il Capitalismo, che oggi spadroneggia in maniera selvaggia, al punto che la “globalizzazione”, invadendo i mercati con la ricchezza che ha a disposizione sta realizzando profitti enormi, assicurando benessere e sviluppo solo ad alcuni, e calpestando i diritti dei più deboli.
Giovanni Paolo II in una bella e lunga intervista a Jas Gawronski il 2 novembre 1993 non a caso ebbe a chiarire i pericoli cui andava incontro il Mondo con la fine del Comunismo.
Jas Gawronski in un passaggio della stessa chiedeva al Papa:
…Ai polacchi Lei ha detto una volta “cercate una via finora inesplorata”. È un appello alla ricerca di una terza via fra capitalismo e socialismo?
“Temo che questa terza via sia un’altra utopia. Da una parte abbiamo il comunismo che è una utopia che messa in pratica si è dimostrata tragicamente fallimentare. Dall’altra parte c’è il capitalismo che nella sua dimensione pratica, al livello dei suoi principi basilari sarebbe accettabile dal punto di vista della dottrina sociale della Chiesa, essendo sotto vari aspetti conforme alla legge naturale. È la tesi espressa già da Leone XIII. Purtroppo subentrano degli abusi – varie forme di ingiustizia, di sfruttamento, di violenza e di prepotenza – che alcuni fanno di questa pratica di per sé accettabile, e allora arriviamo alle forme di un capitalismo selvaggio. Sono gli abusi del capitalismo che vanno condannati”.
Il Capitalismo tirando fino alle estreme conseguenze la corda, prima o poi, porterà a ribellioni incontrollabili che potranno provocare la distruzione degli stessi profitti realizzati. Allora, i governanti più avveduti della Terra ne prendano coscienza e cerchino di costruire un nuovo equilibrio internazionale in grado di soddisfare le necessità della gente comune.

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