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Italicum, la buccia di banana che fa ruzzolare le opposizioni

Una buccia di banana era e una buccia di banana è rimasta la nuova legge elettorale, anche con l’approvazione definitiva alla Camera. Ma a scivolarci sopra non è stato il presidente del Consiglio, come si poteva prevedere prima del suo improvviso e astuto contropiede sui tempi e modi del percorso finale del cosiddetto Italicum, bensì le opposizioni al governo e le minoranze del partito di Matteo Renzi. Che sono uscite dalla vicenda con le ossa letteralmente rotte, divise e confuse come peggio non poteva accadere.

Le minoranze del Partito Democratico, già sbriciolatesi nelle votazioni palesi di fiducia volute da Renzi per blindare il testo approvato a fine gennaio dal Senato, sono arrivate a ranghi ridotti anche all’appuntamento con lo scrutinio finale e segreto. Scrutinio segreto che le opposizioni peraltro hanno chiesto con così poca convinzione, ed efficacia, da disertarlo indicando come obbiettivo non più la bocciatura della legge, ma la sua approvazione con una maggioranza inferiore a quella assoluta di 316 voti, pari alla metà più uno dei membri dell’assemblea di Montecitorio.

A parte il fatto, però, che i 334 voti ottenuti alla fine dalla legge sono risultati superiori a 316, l’artificio delle opposizioni è stato sin troppo sfacciato perché, grazie proprio alla diserzione da esse praticata, la maggioranza richiesta per l’approvazione è scesa a 198 voti, pari alla metà più uno dei presenti e votanti. E 334 voti, quanti sono stati quelli ottenuti dalla legge, meno 198, cioè quelli necessari all’approvazione, fanno 136. Tanto quindi è lo scarto con il quale alla fine Renzi ha vinto la partita dell’Italicum. Ma ancora più alta – rovinosamente più alta per le opposizioni – risulta la differenza fra i 334 voti favorevoli e i 61 contrari, dei quali poco meno di cinquanta attribuibili a deputati del Pd. E’ una differenza di ben 273 voti.

I numeri sono numeri, purtroppo per le opposizioni. Le quali, peraltro, hanno prima promosso e poi disertato lo scrutinio segreto finale soprattutto per nascondere sotto il tappeto, appunto della non partecipazione al voto, o Aventino, una realtà ben diversa dall’unità proclamata a voce: la realtà di un bel po’ di deputati, per esempio, della sempre più ribollente Forza Italia pronti a votare segretamente in modo difforme dal no gridato e motivato dal capogruppo Renato Brunetta.

Comunque, resta ora da capire e vedere che uso vorrà o potrà fare del frutto della sua vittoria il capo del governo.

La stessa nuova legge, che disciplina l’elezione solo della Camera, ne prevede l’applicabilità non prima dell’estate del prossimo anno. Appare francamente impensabile che il capo dello Stato possa autorizzare il governo, in caso di crisi e di elezioni anticipate prima di questa scadenza, a modificare la data di applicazione della nuova disciplina con un decreto legge.

D’altronde, da qui all’estate del prossimo anno o il governo riuscirà a fare approvare definitivamente, con la ratifica referendaria, anche la riforma costituzionale del Senato, ferma appunto a Palazzo Madama, che potrebbe trasformarsi in un Vietnam per il clima politico surriscaldato dall’Italicum e per i numeri risicati di cui dispone la maggioranza renziana in quell’assemblea, o sarà il caos.

Si potrà creare cioè dall’estate dell’anno prossimo in poi una situazione da mani nei capelli, per chi li ha. E Sergio Mattarella ne ha tanti. Una crisi che non dovesse trovare una soluzione politica di conferma o di sostituzione del governo uscente sfocerebbe nel rinnovo della Camera con la nuova legge e nel rinnovo del Senato, ancora elettivo se non riformato, con quel che rimane del vecchio e odiato Porcellum dopo i tagli apportati dalla Corte Costituzionale, cioè senza premio di maggioranza e liste bloccate. A un Senato eletto in questo modo il governo nella nuova legislatura dovrebbe tornare a chiedere e ottenere la fiducia. E ciò sino a quando lo stesso Senato non accetterà di diventare un’altra cosa, eletto nei consigli regionali e privo del diritto di accordare o negare la fiducia all’esecutivo, come vorrebbe Renzi.

Signor presidente della Repubblica, si tolga pure le mani dai capelli, si pettini e preghi il Signore di non doversi trovare a gestire uno scenario politico e istituzionale del genere, per non parlare di quello economico.

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