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Perché Renzi ha chiuso la partita dell’Italicum alla Camera

L’Italicum è legge.
Aspettando Godot, sotto forma della grande incognita sulla riforma costituzionale del Senato. Non ci sono i numeri al Senato, difatti, per approvarla: e senza questa, l’Italicum è una gamba senza un tavolo.
Ma, intanto, è stato approvato ed è un indubbio successo di Matteo Renzi, unico a riuscire in un’impresa ricercata e promessa da altri quattro premier prima di lui, negli ultimi dieci anni.

Certo è stato approvato alla Camera con meno voti della maggioranza di governo, l’aventino di tutte le opposizioni e i dem spaccati con una cinquantina di voti contrari alla fiducia. Pomo della discordia del recentissimo, infuocato, dibattito politico.

Per opporsi a questa decisione del premier, definita “arrogante”, “fascista”, “morte della democrazia”, sono stati lanciati crisantemi in aula, si sono imbavagliati autorevoli ex banchieri in Piazza Montecitorio, rilasciati da ovunque e chiunque feroci commenti ad ogni agenzia.

In realtà, ai più attenti osservatori parlamentari non può che sfuggire che molto, se non tutto quanto sopra può ridursi a poco altro che non teatrino della politica: essenzialmente, sono due le ragioni che hanno indotto e costretto il premier a questa scelta. Una più tecnica, una più politica.

La prima, più tecnica, deve considerare il contesto nel quale è stata presa. Forza Italia e le opposizioni hanno richiesto, come loro diritto, di utilizzare il voto segreto nella discussione in aula. Lo scopo, neppure troppo velato, era assemblare un’improbabile maggioranza, costituita dalle opposizioni e una parte del PD, al fine di effettuare anche una, sola piccola modifica alla legge, per farla poi rimandare al Senato e farla così arenare.

Per il più semplice, ed efficace, esempio del nostro procedimento legislativo a bicameralismo perfetto. Che proprio Renzi e l’Italicum vorrebbero rottamare.

Va ricordato, difatti, che al Senato l’Italicum fu votato coi voti decisivi di Forza Italia, ora persi dopo il tragico affondamento del patto del Nazareno.

Per farla breve: se l’Italicum fosse tornato in Senato, sarebbe morto. E saremmo tornati al punto zero.

L’unica possibilità che aveva Renzi di blindare il testo, e quindi approvarlo, era porre la questione di fiducia. Quei deputati, che protetti dal voto segreto avrebbero certamente modificato qualche postilla, non avrebbero rischiato di far saltare la legislatura. E così è stato, trasformando poi l’Italicum, già approvato in Senato, legge.

Vi è, poi, una motivazione più politica che ha indotto il premier a questa scelta: forte, certamente, audace e sfrontata, anche. Quanto legittima.

Appare evidente come, ormai, sia proprio Renzi ad avere tutto l’interesse a marginalizzare la sinistra politica e la minoranza del suo partito. La politica oggi si fa coi sondaggi, non con gli ideali. Consensi, a sinistra, non ne trova più. Mentre, al contrario, il centrodestra rimane il terreno più fertile dove cercare voti e allargare la base del Pd, a propria immagine e somiglianza.

La fiducia ha fatto apparire Matteo Renzi, anche ai meno avvezzi alla politica, un vero e proprio decisionista: pur di ottenere un risultato atteso ormai da anni e simbolo di una politica che non decide, schiaccia la minoranza del suo partito. La sinistra, del suo partito.

E gli ultimi sondaggi confermano proprio questa tendenza: il Pd perde sì consensi a sinistra, ma ne guadagna altrettanti a destra. Nella terra (quasi) di nessuno.

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