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Pensioni, cosa fare dopo la sentenza della Consulta

La Consulta, scrivono Giuliano Cazzola (tra i massimi esperti di lavoro e previdenza) e Fabrizio Sacconi (ex ministro del Lavoro, oggi senatore di Ncd e presidente della Commissione Lavoro) in un intervento pubblicato oggi sul Corriere della Sera, “appare consapevole del difficile equilibrio tra risorse disponibili e diritti sociali nel momento in cui conferma la sua primaria attenzione alla stabilità della nazione. Essa non ha ritenuto illegittimo l’intervento in sé ma le sue modalità“.

DIRITTI ACQUISITI

E’ bene ricordare – continuano Cazzola e Sacconi – che il Governo Prodi, per compensare la controriforma dello “scalone” Maroni, tagliò per un anno, ma con effetti permanenti, la perequazione sulle pensioni di importo superiore ad otto volte il minimo. Vennero presentati ricorsi che la Consulta bocciò. La Corte ha però voluto confermare un caveat a coloro che vorrebbero prendere a calci i diritti acquisiti, aggravando il clima di incertezza del futuro che frena i consumi delle famiglie italiane“.

GLI ERRORI DA EVITARE

Evitiamo, sottolineano Cazzola e Sacconi “le “liste di proscrizione” dei pensionati (come se il 90% dei trattamenti erogati fossero “profitti di regime”) il cui assegno fu liquidato con il calcolo retributivo secondo le norme vigenti da quando, con la riforma del 1969, fu compiuta la scelta di assicurare un trattamento equipollente alla retribuzione media percepita nell’ultimo periodo della vita attiva con lo scopo di evitare un drastico peggioramento del reddito. Neppure la riforma Dini-Treu del 1995 volle modificare completamente tale impostazione“.

RIDETERMINARE IL CALCOLO

Solo ora, rimarcano, “è comparsa l’idea di rideterminare con il calcolo contributivo i trattamenti medi e alti liquidati con il metodo retributivo quando il loro importo non è – oltre una opinabile soglia – “giustificato” dai versamenti effettuati. I sostenitori di questa tesi partono dal presupposto che il sistema retributivo abbia in sé una “rendita di posizione” non meritevole di tutela. Ma se così è, perché il “crucifige” dovrebbe agire solo su una parte delle pensioni?

PERCORSO INSTABILE

Non è, poi, – sottolineano Cazzola e Sacconi – il modello contributivo “che di per sé penalizzerà le pensioni dei giovani ma il loro instabile percorso di vita lavorativa. Come non è vero che tutti i vantaggi stiano nel retributivo e tutti gli svantaggi nel contributivo“.

IL SISTEMA RETRIBUTIVO…

Nel primo sistema, infatti, – proseguono Cazzola e Sacconi – i lavoratori effettuano i versamenti sull’intera retribuzione percepita, ma il rendimento è pari al 2% per ogni anno fino a 45mila euro di reddito. Per le quote eccedenti l’aliquota è decrescente. Nel retributivo, inoltre, la pensione è sottoposta ad un tetto massimo di 40 anni“.

…E QUELLO CONTRIBUTIVO

Nel regime contributivo, invece, “dovranno contare tutti i versamenti effettuati e il montante accreditato viene moltiplicato per un coefficiente di trasformazione più elevato, in rapporto all’età del pensionamento. I lavoratori con retribuzioni maggiori, inoltre, versano i contributi soltanto su di un massimale di circa 100mila euro l’anno. La giurisprudenza costituzionale indica comunque una difesa tendenziale, ma non assoluta, dei diritti acquisiti. Il che consente interventi purché limitati nel tempo e solidali, non tali da produrre per persone prossime a pensione o già pensionate una modifica strutturale del Patto con lo Stato. Irragionevole – concludono – perché non darebbe a queste persone il tempo per rimediarvi operosamente“.

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