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Cosa penso della Buona Scuola

Caro direttore Arnese,
è capitato che entrambi abbiamo discusso poche ore fa, tramite Formiche.net, della vicenda che riguarda le nuove norme sulla scuola, presentate alle Camere dal governo Renzi-Giannini.

Le nostre opinioni divergono in alcuni punti. Meno male, il confronto è proficuo se ci sono punti di vista diversi e non c’è appiattimento, a dimostrazione della vivacità culturale e politica del giornale. Consentimi qualche riflessione in ordine ai tre punti centrali che hai trattato.

Sulla prima questione: mancanza di confronto tra governo e sindacati, c’è da dire che servono a poco i proclami propagandistici di Renzi. Bisogna comunque ubbidire alle regole della democrazia, per cui il dialogo è necessario. Aver sottolineato il ritorno alla concertazione mi trova d’accordo. Il confronto diventa però difficile se non c’è materia, ma solo imposizione da entrambe le parti. Tutti sono chiamati a fare i conti con una realtà difficile e complessa fatta di tanta vecchia sinistra e di una limitatissima destra, nonostante l’”autonomia”, per cui le scelte del governo, che è visto come prosecutore del berlusconismo, sono respinte apriori.

La storia del mancato accoglimento da parte del governo delle proposte del sindacato sulle assunzioni dei precari sta producendo una discussione difficile. Il governo ha fatto i conti sui soldi da reperire e oltre un certo limite non può andare, allora le decisioni presentate con tono renziano appaiono imposizioni. Il sindacato a sua volta non accetta diktat, e ne viene fuori una condizione di stallo. Si spera ardentemente che il governo mantenga fede agli impegni assunti. Bravissimi docenti sono letteralmente sfiniti, dovendo lavorare come precari e in contemporanea frequentare aggiornamenti, Sicsi, Tfa, corsi per il sostegno. E’ arrivato il tempo di mettere la parola fine ad un problema molto annoso.

E siamo al terzo punto, la democrazia nella scuola. In verità il problema esiste. Sono ormai quarant’anni che in Italia è di casa una democrazia reale nella vita scolastica, la collegialità è una peculiarità acquisita, a volte forse anche eccessiva. Sin dal 1973, dopo gli anni della contestazione studentesca del 1968, i governi dell’epoca, in testa Fanfani, decisero di dare vita al nuovo stato giuridico del personale scolastico e di introdurre i “decreti delegati”, che inaugurarono la stagione degli “organi collegiali”, espressioni di vera democrazia. La scelta politica degli anni ’70 significò anche potenziamento dell’educazione alla democrazia di ragazzi, adolescenti, giovani. Questa cultura, ormai consolidata, di sicuro cozza con i nuovi poteri che il governo vorrebbe affidare ai presidi. Uno sbilanciamento a favore del capo d’istituto significherebbe scuola monocratica e non più democratica con tutte le conseguenze del caso, si tornerebbe indietro di cinquant’anni. A meno che accanto al preside-manager o leader educativo non si formi una squadra che garantisca partecipazione e collegialità nel governo della istituzione.

E questa è l’attualità evidente, quella che tutti noi vediamo.

Ci sono poi alcuni aspetti che molti non dicono. Per esempio il sindacato che difende gli iscritti a spada tratta, lo status quo e tutti coloro che vogliono sottrarsi alle verifiche, per evitare la valutazione. Le prove, Invalsi o altre, valutano il sistema scolastico globalmente, quindi, anche il capo d’istituto. E’ assurdo non sottoporsi dopo alcuni anni di lavoro ad una verifica, considerato che di mezzo c’è il merito.  La collegialità e la democrazia nelle scuole non possono significare che gli incapaci, gli scansafatiche, gli incompetenti devono essere trattati alla stregua di quelli bravi che fanno camminare o addirittura correre la scuola nella quale lavorano. In ogni istituzione scolastica c’è una percentuale altissima di insegnanti bravi e capaci, ma c’è anche chi si porta dietro spaventosi deficit di attitudine e di preparazione. E il sindacato non può difenderli solo perché in possesso di una tessera. E’ necessario ragionare e confrontarsi, e credo che i sindacati storici lo facciano.

Il sindacato in passato non ha mai svolto un ruolo passivo, arroccandosi su posizioni preconcette. Ha affrontato con gli intellettuali, gli uomini di cultura, gli atenei, le accademie studiando, approfondendo le tematiche più attuali e più urgenti della nostra comunità educativa. I documenti finali erano lo strumento di discussione al tavolo delle trattative col governo. E la soluzione alla fine c’era, perché costruita su basi serie. Oggi purtroppo manca proprio questo aspetto e se il sindacato non se ne renderà conto  finirà in profonda crisi come la politica.

Allora il ministro Giannini, caro direttore, deve confrontarsi coi sindacati su disegni riformatori reali, di lungo respiro che attengono al futuro della nostra scuola, non può limitarsi alla minima contingenza e chiamarla riforma, né offendere il sindacato, istituzione democratica prevista dall’art.39 della nostra Costituzione. Nella società mondiale della globalizzazione sono intervenuti mutamenti impensabili fino a qualche decennio fa che chiamano in causa poteri locali, nazionali, europei, planetari, uno di questi problemi è l’ambizione dei più sfortunati a raggiungere luoghi più sicuri e accoglienti: l’immigrazione. Le conseguenze che essa comporta sono di carattere culturale, etico, politico, religioso, civile, economico. Possiamo immaginare di parlare soltanto del diritto di asilo o di cittadinanza? Non esisterà anche il problema di come integrare e far vivere tutta questa gente che arriva da noi? La scuola è la prima istituzione che conosceranno i bambini, i ragazzi, i giovani che arrivano da altri mondi. E allora si guardi lontano, pensando al futuro e non asfitticamente solo all’oggi. La sistemazione dei precari va benissimo ed è giusta, ma c’è bisogno di altro, come ridisegnare l’autonomia scolastica prima di tutto. Definito questo aspetto si risolverà anche il problema della guida. Essa non può cadere solo sui presidi ma deve appartenere alla intera comunità scolastica per cui dovranno essere previste più figure che collegialmente con il preside governano la scuola, con poteri reali e con una finanza certa.

Se questo non sarà si metteranno solo delle toppe per sistemare qualche falla, e la scuola continuerà a non funzionare.

Cari saluti

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