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La “Catharsis” di Luz dopo Charlie Hebdo

«Un giorno il disegno mi ha abbandonato. Lo stesso giorno in cui lo hanno fatto una manciata di cari amici. Con la differenza che lui, il disegno, è ritornato. Poco a poco. A volte in maniera più malinconia, a volte in maniera più leggera. Con questo fantasma ci ho dialogato, pianto, riso, urlato, mi sono rasserenato a mano a mano che il tratto si affinava». Comincia con questa dichiarazione “Catharsis” (edizioni Futuropolis) il libro, uscito ieri in Francia, che segna l’anno zero di Renard Luzier, in arte Luz, dopo la strage avvenuta nella redazione di Charlie Hebdo per mano dei fratelli Kouachi.

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L’ANNO ZERO DI LUZ DOPO LA STRAGE DI CHARLIE HEBDO

La matita più irriverente e pungente del settimanale satirico compie, attraverso questa “bande dessinée”, un vero e proprio rito di purificazione, nel senso psicoanalitico del termine. E lo fa nel modo che gli è più congeniale: disegnando. Da quel maledetto 7 gennaio Luz non ha pace, nel suo corpo non è più solo. A fargli compagnia è “Ginette”, una grande palla, una escrescenza che lo tortura, «un po’ come il bambino alieno che vuole uscire dal grembo materno dell’attrice Sigourney Weaver in Alien», scrive Libération.

IL SENSO DI COLPA DI CHI È SOPRAVVISSUTO

Luzier personifica così – cercando di sdrammatizzare – il senso di colpa che lo perseguita da quando quella mattina, che coincideva fatalmente con il suo compleanno, arrivò in ritardo alla riunione di redazione salvandosi dalla carneficina che ammazzò Charb, Wolinski e gli altri. E a quella tristezza infinita, che spesso «sale fino al cuore», dà una voce: «Ciao ragazzo! Noi non ci conosciamo, quindi mi presento: sono il tuo peso nello stomaco. Spesso ti pervaderò completamente, scatenando in te la rabbia e la confusione per essere un sopravvissuto».

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FANTASMI, PAURE, STATI D’ANIMO CONTRADDITTORI

In questo processo di auto-analisi Luz non racconta una storia lineare ma dà sfogo, con toni e stili diversi, alle sue emozioni inanellando tante piccole scene di vita in cui reale e surreale si alternano e spesso si intrecciano, dando un volto ai suoi fantasmi, alle sue paure e ai suoi contraddittori stati d’animo dopo l’attentato terroristico. Tutto grazie al potere della matita.

Il “tak, tak, tak» dei kalashnikov dei fratelli Kouachi si ripete come un refrain nell’opera ed esprime tutta la vuota insensatezza del suo gesto. Un suono capace di provocare solo paura, isolamento e terrore e che da Rue Nicolas Appert lo segue fin dentro casa. Così Luzier ritrae l’uomo come un essere spaventato, rinchiuso in casa, al buio, terrorizzato da ogni singolo rumore esterno, «un licantropo sia di giorno che di notte» che, schiacciato dalla paura, si trasforma in «un piccolo topo che si nasconde dietro un radiatore».

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IL DIALOGO IMMAGINARIO CON CHARB E IL TEMA DELL’AMORE

Molto commovente il dialogo immaginario di Luz sulla tomba di Stéphane Charbonnier, conosciuto come Charb, suo amico e mentore, che si conclude però non con un pianto disperato ma con uno sguardo d’amorevole intesa e una risata fragorosa. A rimarcare l’indole ironica e scanzonata che lo accomunava all’ex direttore del settimanale satirico.

Luzier non propone grandi teorie o analisi degli eventi. Parla di coraggio, di vita, di istinto a sopravvivere nonostante tutto. L’autore non cede mai alla disperazione perché Catharsis è, come l’ha definita lui stesso, «una dichiarazione d’amore». Il fil rouge di tutta la storia, infatti, è proprio l’amore per Camille, sua moglie, che lo salva dalla follia e dalla depressione e lo riporta alla vita. Quella vita che, a distanza di quasi cinque mesi, Renard Luzier immagina fuori da Charlie Hebdo nonostante dentro «resterò sempre Charlie», dichiara.

La “catharsis” di Luz può dirsi compiuta.

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