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Tutte le sfide di Cameron su Brexit e immigrazione

Forte della recente riconferma a premier, David Cameron lancia la sua sfida all’Ue: meno immigrati, riconoscimento della sterlina come moneta europea e una sostanziale revisione dello status di Paese membro del Regno Unito fra i Ventotto. Per costringere Bruxelles al dialogo, Londra agita lo spettro della Brexit, l’uscita del Paese dal recinto comunitario, da decidere con un referendum popolare che si terrà forse nel 2017. Ma non si tratterà di una battaglia semplice.

IL GIRO DI VITE

Dopo averne fatto un argomento centrale della sua campagna elettorale, Cameron ha anticipato ieri alcuni dei punti del suo programma per il controllo dell’immigrazione clandestina, che approfondirà nel dettaglio durante il tradizionale “Queen’s Speech” del prossimo 27 maggio. Il premier insisterà sulla necessità di adottare in tempi brevi un disegno di legge che, a suo dire, consentirà di ridurre il numero degli immigrati illegali nel Paese e di aumentare le competenze dei cittadini britannici che necessitano di un lavoro, ma che lo vede in contrasto con molti partner europei e con gli stessi principi dell’Unione sulla libera circolazione dei cittadini.

I NUMERI

Il premier proseguirà comunque per la sua strada. Finora, infatti, le promesse non hanno mantenuto le attese. Nel 2014, secondo i dati dell’Office for national statistics, gli immigrati sono aumentati considerevolmente. Con 641 mila ingressi legali contro le 323 mila uscite dal territorio britannico, il saldo è di 318 mila persone, con un aumento del 50% in rapporto all’anno precedente. Un risultato è stato descritto come “deludente” dal primo ministro britannico che già nel 2010 si era impegnato a ridurre il numero netto di immigrati a “qualche decina di migliaia”.

LE MISURE PREVISTE

Nei programmi di Cameron – rivela il britannico The Times – la stretta sull’immigrazione prevederà anche il sequestro dei salari e l’espulsione senza appello di tutti gli immigrati entrati illegalmente nel Regno Unito. E per scoraggiarne l’arrivo e rendere il Paese meno “attraente” per i migranti, il premier conservatore intende far divenire reato penale per le aziende britanniche il reclutamento di lavoratori all’estero senza che vi sia stata prima un’offerta di lavoro a dipendenti del Regno unito. Tra le misure pensate da Cameron, infine, anche quella di concedere maggiori poteri di controllo alle banche, con la possibilità di accedere e verificare i conti correnti di persone che potrebbero essere entrati illegalmente nel Paese.

IL TOUR DI CAMERON

Per trovare sponde al suo piano, prosegue il quotidiano, Cameron visiterà diverse capitali europee. In questo mini-tour continentale, il premier conservatore illustrerà le condizioni della permanenza del Regno Unito nell’Unione europea. Il viaggio dovrebbe iniziare alla fine della prossima settimana, dopo il discorso della regina in Parlamento fissato per mercoledì. Cameron dovrebbe fare tappa a Parigi e Berlino, ma anche nei Paesi da sempre al fianco di Londra, come Olanda e Ungheria. Non è esclusa nemmeno una visita a Roma. E già oggi, al vertice del partenariato orientale a Riga, Cameron dovrebbe avere una serie di incontri informali con alcuni dei Paesi più piccoli dell’Ue.

LA STERLINA “EUROPEA”

Ugualmente complesso un altro dossier, che vede Cameron deciso ad ottenere da Bruxelles il riconoscimento di uno status speciale per il Regno Unito, con la cancellazione dai trattati dell’Unione europea della definizione dell’euro come “moneta unica”, per riuscire così a garantire la permanenza del Paese nell’Unione. Si tratterebbe di una modifica in parte simbolica, dal momento che Londra non ha intenzione di adottare l’euro in un prossimo futuro, ma consentirebbe a Cameron di poter dire all’elettorato che il Regno Unito non è tenuto al rispetto degli impegni europei per una “più stretta unione”.

I RISCHI DELLA BREXIT

Per gli analisti, la strategia di Cameron punta proprio creare i presupposti, affinché la larga maggioranza dei britannici voti contro un divorzio da Bruxelles, e per farlo ha bisogno che i cittadini del Regno Unito si sentano meno sudditi della Commissione e più di Sua Maestà. Anche perché, la Brexit, più volte agitata come spauracchio, vede nettamente contrari nel Paese sia gli industriali sia il mondo della finanza e delle banche della City. Poco prima dell’inizio del delicato negoziato, entrambi hanno più volte detto di considerare di interesse nazionale l’adesione all’Ue. Un messaggio chiaro al governo britannico, ma anche a Berlaymont: l’economia del Regno Unito va bene – Pil in aumento e una disoccupazione sotto il 6%, nonostante il problema delle disuguaglianze – e non c’è nessuna ragione per farsi una guerra che farebbe male a tutti. Le prime avvisaglie ci sono già: nell’eventualità di un’uscita britannica dall’Ue, la tedesca Deutsche Bank – secondo indiscrezioni raccolte dal Financial Times – avrebbe già avviato le procedure preliminari per trasferire fuori dal Regno Unito una parte delle sue attività.

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