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Vi racconto la saga delle pensioni

Matteo Renzi ne sa una più del diavolo. Si è inventato la pantomima della flessibilità del pensionamento al solo scopo di sparigliare il gioco dei suoi avversari che, come cani famelici, si erano gettati sull’osso spolpato del rimborso (all’insegna dello sgangherato ‘’tutto a tutti’’) della perequazione automatica ‘’maltolta’’ negli anni 2012 e 2013.

Fateci caso, questo argomento è scomparso dai media, i quali hanno cominciato a dedicare intere pagine al sarchiapone della flessibilità, suscitando un enorme interesse degli italiani che aspirano, fin da bambini, ad andare in pensione il prima possibile. Introdurre criteri di flessibilità nel pensionamento significa far saltare il punto cruciale della riforma Fornero, quello che assicura i principali risparmi.

Sarebbe un’operazione in perdita, non solo sul piano finanziario, ma anche su quello culturale e sociale. L’opinione pubblica si è ormai abituata all’idea di dover lavorare fino a 66 anni. Che senso ha riportare indietro l’orologio della storia ? Si sta commettendo il medesimo errore dell’ultimo Governo Prodi, che volle ‘’superare’’ lo ‘’scalone’’ della legge Maroni del 2003, caricando sulle spalle degli italiani un onere di dieci miliardi a regime. Proprio in questi giorni si è ricordato che l’incidenza della nostra spesa pensionistica sul Pil è pari al 16,5%. E’ bene che si sappia che senza i tagli della riforma del 2011 saremmo al 18,3%. Non è il caso, allora, di andare a cercare nuovi guai.

Eppure tutte le forze si sono messe in coda dietro il ‘’pifferaio magico’’ compilando ciascuna il proprio compitino sulla c.d. flessibilità in uscita. Così la Commissione europea – che aveva da poco tirato un sospiro di sollievo dopo il varo del decreto Poletti che ha tamponato, almeno per il momento, gli effetti della sentenza n.70 Cost. – si è subito in allarmata quando ha saputo che con la prossima legge di stabilità sarà manomessa, in un aspetto essenziale, quella riforma delle pensioni che tanto ha contribuito a restituire all’Italia la fiducia dei mercati.

Ma davvero è stato devastante l’effetto della riforma Fornero (e delle misure adottate in precedenza) sulla possibilità delle persone di far valere il loro diritto alla quiescenza? In verità si tratta di una “leggenda metropolitana”.

Sono significativi, in proposito, i dati dei principali settori privati dell’Inps riguardanti l’età effettiva media alla decorrenza della pensione nel periodo tra il 2009 e i primi due mesi del 2015. C’è una differenza sostanziale (più o meno è così in tutti i sistemi in ogni parte del mondo) tra l’età legale e quella effettiva. La seconda è sempre più bassa della prima, soprattutto se si rimane nel campo delle medie. I sistemi pensionistici cambiano lentamente e soprattutto, sono attraversati da tante ‘’uscite di sicurezza’’ che consentono di derogare pure alle regole più severe. Nell’arco temporale considerato sono andati in pensione oltre 1.503.000 lavoratori (di cui 745mila di anzianità o di vecchiaia anticipata e 758mila di vecchiaia).

Le nuove regole hanno determinato un incremento importante dell’età media di vecchiaia mentre, come vedremo, hanno interessato di soli 9 mesi (da 59 a 59,9 che sale ad un anno se si includono anche i primi due mesi del 2015) l’età del pensionamento anticipato, che in prevalenza viene utilizzato dagli uomini, i quali sono, in generale, in grado di far valere il requisito contributivo (ora intorno a 42 anni) ad un’età attorno ai 60 anni. In questa circostanza, dal 2010 al 2014, ben 194mila lavoratrici hanno potuto conseguire il trattamento anticipato.

E’ interessante osservare il trend dell’età effettiva di pensionamento, nel periodo considerato, nei principali settori privati e per le diverse tipologie di trattamento: il dato cumulato di vecchiaia e anzianità/vecchiaia anticipata; i dati distinti e la ripartizione per sesso. L’incremento più importante dell’età effettiva alla decorrenza è – come anticipato – quello concernente le pensioni di vecchiaia, in larga misura dipendente dall’equiparazione (con gradualità accelerata) del requisito anagrafico delle donne a quello degli uomini (con l’aggiunta dell’aggancio automatico all’attesa di vita). Infatti, il dato cumulato di uomini e donne, dal 2009 ai primi due mesi del 2015, aumenta nel complesso di 3,3 anni, da 62,5 a 65,8 (3,4 anni per i lavoratori dipendenti al pari di quelli autonomi, mentre diminuisce leggermente nelle contabilità separate).

Diverso il caso della anzianità/vecchiaia anticipata: l’incremento è solo di un anno (da 59 a 60 anni). L’età media alla decorrenza per la vecchiaia e l’anzianità nel periodo considerato cresce solo di 7 mesi, da 61,2 a 61,9. Le statistiche di genere aiutano a comprendere gli effetti delle riforme: nel periodo considerato, con riferimento a tutte le gestioni, l’età effettiva di vecchiaia degli uomini aumenta solo di 8 mesi, mentre quella delle donne di 3 anni, quella cumulata di 3,3 anni. Diverso l’andamento dell’età effettiva media per le pensioni d’anzianità/vecchiaia anticipate: l’incremento è di 1,2 anni per gli uomini, 1,4 per le donne; 1 anno il dato complessivo.

In sostanza, il ricorso al pensionamento anticipato diminuisce nei numeri, ma non ha visto una sostanziale elevazione del requisito anagrafico che rimane più o meno al livello precedente le riforme più recenti. Se si rivedesse al ribasso l’età pensionabile questa tendenza diventerebbe ancora più frequente. Va tenuto presente, inoltre, che la legge di stabilità 2015 ha manomesso, fino a tutto il 2017, la modesta penalizzazione economica a carico di chi andava in quiescenza anticipata prima dei 62 anni. Non è che il disincentivo rappresentasse un forte deterrente, ma il suo venir meno alimenterà il proposito di avvalersi di quell’opzione. Ad abbassare l’età media contribuiranno le coorti dei c.d. esodati che si avvarranno, man mano, delle norme di salvaguardia parametrate alle regole previgenti la legge del 2011.

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