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Libia, ecco perché non ci sarà intervento militare senza l’Onu

Il 25 maggio scorso Wikileaks ha pubblicato due documenti (PARTE 1 – PARTE 2) preparati dal Comitato Militare dell’Unione Europea, Eumc, redatti in vista della riunione dei ministri degli Esteri e della Difesa tenutasi il 18 maggio e a seguito della riunione straordinaria del Consiglio europeo del 23 aprile.

I memo, preparati l’11 maggio per il Comitato politico e per la sicurezza dell’Ue e circolati dal Servizio europeo per l’azione esterna, Eeas, contengono una serie di raccomandazioni intitolate “bozza per la preparazione della gestione della crisi in relazione a una possibile operazione di difesa e sicurezza per lo smantellamento le reti di trafficanti di esseri umani nel Mediterraneo centro-meridionale”.

In 16 pagine vengono delineate tre possibili fasi di azione, si auspica il coinvolgimento di decine di altre entità – sia interne sia esterne al sistema dell’Ue – e si richiede l’adozione di un chiaro quadro normativo che tenga in considerazione le legislazioni nazionali degli Stati membri coinvolti nell’operazione, puntuali e precise regole d’ingaggio, nonché il pieno rispetto della legalità internazionale auspicando ulteriori decisioni formali del Consiglio di Sicurezza da adottarsi sotto il capitolo VII della Carta dell’Onu. Il calendario delle attività previste per (almeno) dodici mesi farebbe iniziare le operazioni di intelligence alla fine di giugno, mentre in una fase successiva si arriverebbe a una presenza navale coordinata dall’Italia la cui offerta di ospitalità del quartier generale della missione è già stata accettata.

Oltre alle raccomandazioni ricordate più sopra, il Comitato militare si preoccupa della percezione pubblica dell’operazione. In conclusione di uno dei due memo si legge infatti che “l’Eumc conosce il rischio che può derivare alla reputazione dell’Ue da qualsiasi trasgressione percepita dall’opinione pubblica in seguito alla cattiva comprensione dei compiti e degli obiettivi o il potenziale impatto negativo nel caso in cui la perdita di vite umane fosse attribuita, correttamente o scorrettamente, all’azione o inazione della missione europea” si suggerisce quindi, tra le altre cose, che “informazioni militari dovrebbero essere parte integrante della [comunicazione della] missione europea”. L’obiettivo da pubblicizzare con forza sarebbe la lotta agli “scafisti”.

Questo paragrafo ha dato adito a diverse interpretazioni che imputerebbero all’Eumc intenti manipolatori dell’informazione. Più banalmente, o pragmaticamente, l’Ue sembra ritenere più facilmente comunicabili ai cittadini europei gli aspetti relativi alle attività di “polizia internazionale” dell’operazione piuttosto che mettere in evidenza i salvataggi dei migranti – che pur son ampiamente ricordati nel documento dove si illustrano le attività della prima fase dell’operazione navale, si richiedono imbarcazioni che possano ospitare le persone recuperate in mare e si elencano gli obblighi internazionali previsti dal diritto del mare e dalla Convenzione sui rifugiati.

Va sicuramente, e nuovamente, ringraziata Wikileaks per la sua opera di disvelamento del processo istituzionale della presa di decisioni – se dovessimo star dietro al dibattito politico-istituzionale italiano, o a quello pubblico delle cosiddette trasmissioni di approfondimento, non avremmo mai potuto apprezzare i dettagli del dibattito istituzionale europeo – ma i commenti con cui l’organizzazione di Julian Assange ha commentato il rilascio dei due memo hanno influenzato il modo con cui la notizia è stata ripresa dai mass media lanciando l’allarme per un’imminente “guerra” sulle coste libiche.

Contrariamente a quanto paventato dall’introduzione di Wikileaks invece, le discussioni interne ai vari organi dell’Unione Europea non sono, fortunatamente, incentrate sulla preparazione di un intervento militare in Libia, anzi. Anche un articolo apparso sul Guardian il 13 maggio scorso, scritto dopo aver ottenuto i memo in anteprima, aveva esagerato la minaccia bellica senza approfondire le parti dei documenti che riguardano in prima battuta un rafforzamento delle attività di intelligence per conoscere meglio chi siano i trafficanti di esseri umani che in Libia hanno la loro centrale di smistamento finale delle vittime della tratta, e in secondo luogo l’avvio del coordinamento delle marine europee per il dispiegamento di una presenza navale rafforzata nel sud del Mediterraneo. Una terza fase riguarderà infine attività più intrusive, ma questo passaggio nei memo resta solo accennato per problemi legati alla legalità internazionale e al necessario invito di un governo libico internazionalmente riconosciuto come partner.

Nella parte relativa alle operazioni di intelligence il memo far riferimento alla necessità di acquisire informazioni sul “business model” dei trafficanti, il che implica sia la qualità che la quantità delle operazioni delle reti criminali nonché i contatti che queste hanno con ulteriori gruppi coinvolti nei traffici – includendo anche il cosiddetto Stato Islamico. Stando al testo, tali operazioni di raccolta e analisi delle informazioni, oggi non godrebbero della piena condivisione di quanto raccolto dai servizi dei vari paesi attivi nella regione. Ottenere e analizzare dati ambientali e di contesto è il primo passo necessario per poter prendere delle decisioni ponderate ed efficaci.

Una volta acquisite le informazioni dettagliate sulla natura e il modus operandi delle organizzazioni dedite al traffico di essere umani – informazioni che secondo i memo dovranno esser arricchite con le normative nazionali relative alle fattispecie di crimine previste dai codici penali nazionali relative alla tratta, nonché dai singoli trattati di estradizione, oltre che le complesse implicazioni relative alla sorte dei “recuperati” in mare, sia migranti che “scafisti” – il Comitato Militare dell’UE ritiene che occorra coordinare un’operazione navale ad hoc da affiancare alle missioni di Frontex, quindi Triton, Poseidon e Indalo, sulla falsariga della missione Eunavfor Atalanta impiegata sotto l’egida delle Nazioni Unite nel Golfo di Aden dal 2012. Il documento inoltre identifica una serie di partner possibili: Unione Africana, Onu, Nato, Lega Araba oltre che Egitto, Tunisia e, quando avrà un governo legittimo, la stessa Libia.

Se l’Unione Africana e la Lega Araba sono, saranno o sarebbero, partner politici inevitabili nell’impresa, vista la loro rappresentatività e interessi regionali, e la Nato un’organizzazione che gli europei non possono escludere quando si parla di attività militari, le Nazioni Unite sono fondamentali per la seconda e terza fase proposte dall’eventuale operazione di sicurezza e difesa. I memo infatti sottolineano le problematiche legali relative al sequestro delle “navi dei trafficanti”, legate alle leggi nazionali degli Stati Membri e, ancor di più, alla necessità di acquisire risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che, adottate secondo quanto previsto dal capitolo VII della Carta, consentano il sequestro del naviglio in acque internazionali e, eventualmente, autorizzino incursioni armate nelle acque territoriali libiche o addirittura nei luoghi di partenza delle imbarcazioni.

Un’ultima preoccupazione evidenziata dall’Eumc è relativa al processo di ricerca della composizione di un governo di unità nazionale per la Libia portato avanti da Bernardino Léon, sotto l’egida della Missione Unsmil delle Nazioni unite in Marocco; i memo, infatti, raccomandano di non dare la percezione di sostenere una delle due parti, né di andare a intralciare le attività economiche libiche paventando ripercussioni negative sui negoziati in corso.

Al Palazzo di Vetro, contatti per la preparazione delle delibere dell’organo esecutivo dell’Onu son ancora in fase preliminare. I quattro paesi europei del Consiglio, Gran Bretagna, Francia, Lituania e Spagna, ai quali si è unita l’Italia, non s’azzardano a metter nero su bianco alcuna proposta per evitare di incappare nei veti di Russia e Cina, notoriamente contrarie ad agire per imporre manu militari la “pace e la sicurezza internazionale”, e nelle cautele degli Usa ormai sempre più restii a impegnarsi militarmente nel Mediterraneo.

Nel suo intervento davanti al Consiglio l’11 maggio scorso, Federica Mogherini, l’Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, ha annunciato che gli europei sono pronti per dispiegare una missione “navale”, e non “militare”, davanti alla Libia, quasi a sottolineare come le operazioni dell’Unione europea saranno di vario tipo e che non arriveranno mai a esser una vera e propria presenza militare con attività intrusive d’interdizione senza la luce verde del Consiglio di Sicurezza.

Insomma, se, come diceva Georges Clemenceau “la guerra è una cosa troppo importante per lasciarla ai militari”, sulla base di quanto contenuto in questi memo, verrebbe da dire che altrettanto non si può affermare per la “ricerca della pace”.

Marco Perduca è rappresentante all’Onu del Partito Radicale

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