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Che cosa penso di Obama e Renzi. Parla Ian Bremmer

Quali sono le opzioni strategiche che gli Stati Uniti dovranno adottare nel corso dei prossimi anni? Quali le sfide da vincere e gli avversari da affrontare?

In occasione del lancio del libro “Superpower”, Formiche.net ha posto queste e altre domande a Ian Bremmer, noto analista di politica estera americana, firma del Time e fondatore di Eurasia Group. L’intero lavoro è focalizzato sulle opzioni di politica estera di Washington e sulle alternative strategiche per gli USA nei prossimi decenni.

Dottor Bremmer, gli Stati Uniti in questo momento storico hanno una chiara visione della loro politica estera? Ed esiste una precisa strategia che perseguono a livello internazionale?

Purtroppo una visione chiara non c’è e questo stato di cose persiste ormai dalla caduta del muro di Berlino. E’ un problema sempre più grave, a causa dell’alto numero e dell’intensità dei conflitti geopolitici che si riscontrano in giro per il mondo. La Russia e la Cina stanno lanciando la loro sfida alla leadership globale americana e la stessa cosa sta avvenendo ad opera di gruppi organizzati come Anonimous. Gli alleati storici degli Stati Uniti stanno rivalutando le loro strategie poiché preoccupati dal venir meno della capacità di leadership USA, non più in grado di mantenere i propri impegni con la stessa costanza del passato.

Purtroppo, invece di pensare a strategie che gli alleati possano comprendere, l’amministrazione Obama si sta limitando a passare da una crisi internazionale all’altra. Le critiche mosse dai repubblicani al presidente Obama sono altrettanto improvvisate. Washington si sta, quindi, limitando a rispondere a singole crisi internazionali appena queste si verificano, non reagendo nel migliore dei modi.

Quali sono secondo lei i maggiori rischi che gli USA corrono in termini di sicurezza globale?

Attualmente direi che le sfide più grandi sono rappresentate dalla minaccia terroristica (mi riferisco sia agli attacchi tradizionali che a quelli nel cyber-space) e anche dal revanscismo russo (principalmente manifestato attraverso attacchi cibernetici). Nel medio e lungo periodo direi che l’attenzione deve focalizzarsi sulla Cina e sulla crescita incontrollata di un nuovo ordine economico mondiale. Se gli Stati Uniti non riusciranno a capitalizzare tali opportunità (principalmente in termini commerciali) e a evitare i rischi derivanti dall’affermazione cinese, la qualità della vita negli USA ne risentirà notevolmente.

Nell’era del caos e dell’instabilità geopolitica è ancora possibile definire una strategia (o più di una) come accadeva durante la guerra fredda?

Assolutamente si, anzi oggi è più importante che mai. L’alternativa sarebbe quella di reagire al manifestarsi di ogni crisi. Questo è accaduto nel corso degli ultimi venticinque anni: lo abbiamo sperimentato dopo la crisi finanziaria del 2008, dopo l’attacco alle Torri Gemelle e lo abbiamo visto in tante piccole crisi nel corso dell’amministrazione Obama (dall’epidemia ebola all’instabilità in Syria e Ucraina, passando per l’Isis e il terrorismo in area MENA). Dalla caduta dell’Unione Sovietica, il danno più grave arrecato agli Stati Uniti è stato autoinflitto – mi riferisco alla reazione sbagliata ai fatti dell’undici settembre.

Lei pensa che gli Stati Uniti abbiano ancora la capacità e gli strumenti per essere una superpotenza mondiale e guidare la comunità internazionale?

Certo. Con il termine superpotenza s’intende un Paese in grado di primeggiare in termini militari, politici ed economici, così da persuadere altre nazioni ad assumere decisioni che altrimenti non prenderebbero. L’America ha certamente abbastanza potere militare, politico ed economico per questo scopo. Riuscirà a esercitare tale potere? Dovrebbe farlo? Queste sono domande aperte: è una sfida più ardua di quanto lo fosse in passato, anche perché il popolo americano è stanco di conflitti e occupazioni militari e gli alleati internazionali non sanno cosa aspettarsi da Washington. I nemici degli USA intuiscono il venir meno dell’attenzione americana nei loro confronti. Una leadership americana come quella affermata durante la guerra fredda non è più possibile perché il mondo è profondamente cambiato dagli anni ‘90.

Detto ciò, rendere “indispensabili” gli Stati Uniti è un’opzione possibile, sebbene io sia abbastanza scettico sul fatto che gli attuali candidati alla Casa Bianca possano costruire un supporto pubblico duraturo a una strategia di questo tipo.

Estremismo religioso, competizione economica, nuove potenze militari e globalizzazione incontrollata… qual è il nemico più pericoloso con cui gli Stati Uniti devono fare i conti?

Nel breve termine, direi che è l’estremismo religioso e subito dopo la globalizzazione incontrollata cui assistiamo con gli scandali di Wikileaks, con il cyber-terrorismo ecc. Nel lungo termine direi la competizione economica. Abbiamo già visto i primi colpi inferti in questo senso, ma siamo ancora all’inizio. Quando la Cina diverrà l’economia più grande a livello globale, forse già nel corso della prossima presidenza, il contesto internazionale assumerà una connotazione profondamente diversa.

Perché lei definisce esattamente tre possibili opzioni strategiche per gli USA e quale di queste preferisce?

Le tre opzioni che descrivo per gli USA sono le uniche che vedo per il futuro. La prima è una “indispensabile” America e quindi un ritorno a una leadership globale, migliore espressione delle capacità americane. La seconda è una moneyball America, cioè con una capacità di vincere più simile a quella di una corporation, così da promuovere i propri valori in primis nei confronti dell’elettorato interno e poi all’estero. Per ultima opzione, citerei un’America indipendente che, ad esempio, guadagna sul campo il proprio rispetto piuttosto che domandarlo e basta, lasciando gli altri Paesi assumere decisioni rispetto alle proprie responsabilità e problemi. Credo che tutte e tre le ipotesi siano possibili… sebbene siano molto differenti. Il mio cuore è con un’indispensabile America. Sono cresciuto durante la guerra fredda, ho visitato l’Unione Sovietica per la prima volta nel 1986 e ho visto cosa possiamo fare quando promuoviamo i nostri valori verso popoli schiacciati dalla tirannia. Il mio portafogli, invece, direbbe una moneyball America. Io stesso ho fondato e gestisco una compagnia, vedo il valore dell’imprenditorialità e la sua capacità di cambiare il mondo. Poi, mi piacerebbe vedere l’efficienza del settore privato a Washington. La testa mi dice che un’indipendente America sarebbe la scelta migliore, in parte perché penso che il mondo stia rendendo le altre opzioni particolarmente impegnative (America indispensabile) o troppo rischiose (moneyball America). Non sono così sicuro che gli attuali leader politici siano davvero capaci di seguire queste due ultime strade. Mi piacerebbe pensare che mi sbaglio, ma per ora scelgo l’opzione “indipendente”.

Come giudica la politica estera dell’amministrazione americana? E perché scrive che il presidente Obama definisce molte delle sue politiche in termini negativi?

La definirei come “avversa al rischio” e reattiva; il che spiega perché stiamo assistendo a numerose espressioni del tipo “non faremo x, y o z”. Si dice che Susan Rice, national security advisor dell’amministrazione Obama, abbia affermato che gli USA non definiscono una strategia complessiva di sicurezza nazionale a causa del rapido susseguirsi degli eventi, poiché altrimenti dovrebbero modificarla ogni due settimane. E’ un problema serio. La politica estera è divenuta più impegnativa nel corso del secondo mandato di Barack Obama, anche perché il team di persone scelte non si è dimostrato tanto valido quanto quello del primo mandato.

Nel suo libro lei fa anche riferimento alle strategie di politica estera di Cina e Russia. Quale di questi Paesi rappresenta il vero pericolo per gli Stati Uniti? Le prossime partite saranno giocate in campo militare o economico?

La Cina, senza ombra di dubbio. E’ il solo Paese ad avere una vera strategia globale. Stanno spendendo trilioni di dollari per orientare gli altri stati verso i loro interessi. Un po’ alla volta stanno rivoltando i nostri alleati contro Washington. Lo si può vedere chiaramente con riferimento alla recente istituzione della Asian Infrastructure Investment Bank. E’ una decisione furba per un Paese che presto avrà un’economia più forte di quella statunitense e che non concorda con gli USA sul fatto che negli affari e in politica si debba dare priorità ai valori.

Parlando degli alleati strategici USA, come valuta la politica estera italiana? Ha qualche consiglio per il primo ministro Matteo Renzi?

E’ rimarchevole che l’Italia sia oggi vista come una delle speranze più forti in Europa per il disperato bisogno di riforme politiche. Mi piacerebbe vedere una vittoria di Renzi nei sui sforzi di rinnovamento, affinché possa meglio concentrarsi sulle istituzioni europee. Mi piacerebbe anche vedere una maggiore cooperazione con Germania, Francia e Gran Bretagna per costruire una politica estera europea più solida, ma siamo ancora lontani da tale auspicio…

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