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Ecco come gli investimenti esteri hanno ripreso quota in Italia. Report Ice

industria, investimenti

Quanto è appetibile l’Italia per investitori imprenditoriali esteri? Poco, secondo il Rapporto “Italia multinazionale 2014” elaborato dall’Istituto per il commercio estero (Ice), l’agenzia statale per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane. Non solo le nostre imprese sono poco inclini ad aprirsi al mondo, ma esiste una forte carenza di investimenti esteri diretti (Ide) nelle nostre imprese. Tanto da crearsi un profondo divario tra Italia e resto d’Europa in quella che l’Ice definisce come “internazionalizzazione passiva” e che si sostanzia in un dato choc: “il rapporto stock di Ide su Pil è di due volte e mezzo inferiore a quello dell’Europa a 27”, si legge nel Report.

COSA RESTA DEL BELPAESE

“Nel periodo post-crisi, la consistenza economica complessiva delle partecipazioni estere nel Paese si è contratta”, scrivono i ricercatori dell’Ice. Ad essere maggiormente penalizzati, in termini soprattutto di occupazione, è stata l’industria manifatturiera, dove si è tornati 2ai livelli di metà degli anni Ottanta, se pur attraverso trasformazioni che hanno visto emergere come settori di maggiori attrattività gli ambiti in cui l’industria nazionale raggiunge l’eccellenza internazionale (meccanica strumentale, made in Italy e alcuni segmenti di produzione di massa). In contrazione netta le attività estere nell’ambito dei settori dell’alta tecnologia”. In contrazione gli Ide anche nel settore dei servizi. Mentre a spiccare per una internazionalizzazione passiva più strutturale sono “i servizi Ict e di telecomunicazioni e i servizi professionali, in linea con il trend generale descritto per l’Europa. Nei servizi di pubblica utilità, l’apertura dei mercati (liberalizzazione e privatizzazioni) ha attivato, come nel resto del mondo, il processo di internazionalizzazione, anche se la grandezza assoluta del fenomeno è per ora limitata”.

POCHI INVESTIMENTI STRATEGICI

Ma il dato più grave è che la composizione degli Ide in Italia vede una forte marginalità delle iniziative a carattere strategico che continuano a contrarsi “sia per il riorientarsi dei flussi di investimento ex novo verso i grandi mercati internazionali in crescita, sia per la scarsa competitività del Paese in termini di offerta di fattori localizzativi”. E se gli imprenditori di Nord America ed Europa non mettono più mano al portafogli, pur rimanendo ancora di gran lunga i maggiori investitori nel Paese, aumenta sensibilmente il peso di emergenti come “Cina, India, Russia e altri, soprattutto asiatici”. Tutti investono principalmente al nord, con il Nord-Ovest che “conserva un ruolo preminente, ma in termini di crescita lascia spazio al maggiore dinamismo del Nord-Est e, in misura minore, del Centro Italia. Il Mezzogiorno vede ulteriormente peggiorare la propria quota di partecipazioni estere”.

COME RENDERE DI NUOVO L’ITALIA ATTRATTIVA

C’è un evidente deterioramento dell’attrattività internazionale dell’Italia. Che dipende da un sistema ingessato, scarsamente competitivo e incapace di crescere e che si sana solo con le riforme in ambiti quali l’amministrazione pubblica, la giustizia, la fiscalità, il lavoro, e le grandi infrastrutture. Ma secondo l’Ice è necessario attuare anche “politiche generali di attrazione atte a “differenziare l’Italia nell’offerta di vantaggi localizzativi sul mercato degli investitori internazionali, ovvero alla valorizzazione di risorse e competenze che siano al contempo punti di forza esclusivi del Paese e fattori chiave per il successo dei progetti intrapresi dalle multinazionali, sempre più mobili e libere da vincoli insediativi sullo scacchiere internazionale globale. Importanti fattori di differenziazione che corrispondono a questi requisiti vengono individuati attorno a tre pilastri, che vanno rafforzati tramite una progettualità delle nostre istituzioni e trasformati in una straordinaria leva competitiva: i talenti e i mestieri, la manifattura avanzata e integrata nei servizi, la qualità delle città”.

TRENT’ANNI DI INVESTIMENTI ESTERI

Per inquadrare questa dinamica italiana è interessante osservare quella generale degli Ide negli ultimi trent’anni. “Nel 1980 il livello annuale dei flussi di investimenti esteri diretti era di soli 50 miliardi di dollari e ancora nel 1990 era pari a 200 miliardi di dollari – scrive l’Ice – Nel successivo decennio, il volume è decollato… Dal 1990 a oggi i flussi e gli stock di Ide sono cresciuti a tassi medi annui, rispettivamente, al di sopra dell’8% e attorno all’11,5%. Nello stesso periodo, il tasso medio annuo di crescita delle esportazioni mondiali è stato pari al 7,8%, quello degli investimenti fissi lordi al 5,6% e quello del Pil mondiale al 5,4%. Dopo aver superato la soglia record dei duemila miliardi di dollari, nel 2008 i flussi mondiali di Ide hanno iniziato a contrarsi, per chiudere l’anno con un arretramento del 9,1% sull’anno precedente”. Nel 2009 si è registrata un’ulteriore riduzione del 32,8% e, dopo la ripresa del 2010, un nuovo crollo nel 2011 con l’emergere della crisi del debito sovrano. Con l’effetto aggiuntivo che nel 2012 per la prima volta i flussi di Ide verso i paesi in via di sviluppo e le economie in transizione hanno superato quelli verso i paesi avanzati. “Infine la ripresa del 2013 (+9,1%) riporta i flussi mondiali oltre la soglia dei 1.450 milioni di dollari, un livello tuttavia ancora inferiore del 27,5% al record del 2007”. La stima è di una continua crescita fino alla soglia dei 1800 miliardi nel 2016. Con probabili nuovi trend: nuove destinazioni privilegiate in alcuni Paesi emergenti, in Asia (Cina, India, ma anche Vietnam, Filippine e Indonesia) e soprattutto America latina (Brasile in primis, con Colombia e Cile in evidenza); il rafforzamento del NordAmerica e in particolare degli Stati Uniti, verso i quali il numero dei progetti di investimento cross-border è quasi triplicato dal 2003 al 2013; l’affermazione di alcuni paesi emergenti – in particolare Cina e India – come nuovi grandi investitori internazionali. Un trend fortemente incoraggiante, da cui tuttavia l’Italia rischia di venir tagliata fuori.

ITALIA ULTIMA D’EUROPA

Nel decennio 2003-2013, il nostro Paese ha attratto un numero di iniziative inferiore alla metà di quelle di Spagna e Francia, a un terzo di quelle della Germania e a un quinto di quelle del Regno Unito. Nel 2013, in particolare, l’Italia ha registrato solo 113 progetti di investimento, il minimo del decennio e anche la metà delle iniziative registrate nel 2008 (252). Ma è il confronto con l’Europa a far paura: “meglio dell’Italia fanno non solo Regno Unito (911 progetti), Germania (784), Francia (412) e Spagna (362), ma anche economie di minore taglia, quali Irlanda (164 progetti), Paesi Bassi (156) e Belgio (119). Nel 2013 i progetti di investimento verso l’Italia hanno rappresentato solo lo 0,8% del totale mondiale, contro l’1% in media del periodo 2009-2013 e l’1,4% del periodo 2004-2008”.

… SOPRATTUTTO SUI SETTORI CHE CONTANO

Il quadro peggiora se si considerano anche gli aspetti qualitativi. “L’Italia evidenzia infatti forti e crescenti difficoltà nell’attrarre investimenti nei servizi avanzati (in particolare software e Ict e servizi professionali), che sono viceversa i settori più dinamici e più rilevanti quanto a numerosità e consistenza dei progetti nei paesi industriali”. Resta una certa forza solo nell’energia, soprattutto grazie al ruolo di spicco del comparto delle rinnovabili in cui però si registrano progetti molto piccoli e “nel comparto della cura della salute e dei servizi sociali, dove si registrano alcuni investimenti in case di cura e per l’assistenza agli anziani. Tra gli altri settori, gli unici in cui l’Italia mostra una chiara attrattività, anche se in declino nel periodo post crisi, sono il turismo e lo spettacolo, a conferma delle opportunità che il Paese può offrire, valorizzando il proprio patrimonio artistico, culturale e paesaggistico: questi settori raccolgono peraltro meno del 5% del totale delle iniziative nel periodo, dato il loro carattere di nicchia su scala internazionale”.

E ci dicono un’altra, incrollabile verità: che per quanto siamo bravi nell’industria meccanica e di precisione resteremo sempre solo il Paese del buon cibo e della bellezza.

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