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L’Iran quest’anno ha consegnato 10 milioni di barili di petrolio alla Siria. A gratis

Perugia ─ Che siano sei miliardi di dollari l’anno, come sostiene l’inviato speciale dell’Onu per la Siria Staffan de Mistura, oppure addirittura 15-20, è noto che l’Iran puntella il regime di Bashar al Assad e gli permette con ingenti aiuti di continuare la guerra civile. Fa impressione vedere le mappe che fotografano la situazione attuale in Siria: in mano alle forze governative è rimasta soltanto una striscia vitale di territorio lungo la costa mediterranea che poi scende giù verso il confine libanese fino a Damasco. Una percentuale che, occhio e croce, sarà il 10-20 per cento dell’estensione geografica nazionale. Il resto, che sia Stato islamico o ribelli di altro genere o curdi, non è più controllato da Assad.

È un investimento cospicuo quello di Teheran, che trova capitoli di spesa di diverso genere, dalle armi passando al sostentamento delle milizie libanesi di Hezbollah, emanazione diretta del potere sciita iraniano, che rappresentano l’unità migliore tra i reparti combattenti delle forze lealiste. E poi c’è il petrolio.

Un recente rapporto di Bloomberg ha stimato che dall’inizio dell’anno sono arrivati in Siria 10 milioni di barili di greggio iraniano (più o meno 60 mila al giorno, che considerando un prezzo intorno ai 59 dollari al barile, dà un totale di 600 milioni di dollari di aiuti in questi sei mesi del 2015). La Siria ha un territorio petrolifero, e un tempo riusciva anche ad esportare verso est una parte delle sue riserve, ma aveva una produzione di 400 mila barili al giorno. Ora si è dimezzata, e la gran parte dei pozzi sono controllati dallo Stato islamico (o dai curdi) ─ si ricorderà il ruolo “nel settore” del leader dell’IS Abu Sayyaf, di cui si è molto parlato perché ucciso in un raid delle forze speciali americane sul suolo siriano, circostanza inusuale, in cui fu catturata la moglie.

Secondo le analisi di Bloomberg il petrolio sarebbe stato trasportato in 10 carichi, approdati tutti al porto siriano di Banias, che è ancora sotto il controllo del regime ─ anche da questo si capisce l’importanza per Assad di controllare lo sbocco mediterraneo, che sta dietro al motivo per cui il presidente ha scelto di arroccarsi ad ovest, cedendo gran parte del territorio restante ai ribelli (poi, ovviamente, c’è l’impotenza militare a tenere l’avanzata degli altri). I viaggi di due tre settimane, percorrono le rotte a sud della Penisola Araba, attraversano lo stretto di Hormuz e risalgono per il Canale di Suez: i luoghi di partenza sono probabilmente l’isola di Khark (a nord del Golfo Persico) o di Sirri (più a sud, davanti Dubai).

L’ultima in ordine di tempo di queste consegne, dovrebbe essere stata effettuata il 26 maggio, quando la petroliera “Amin”  ─ una delle tre petroliere “Suezmax” che l’Iran sta utilizzando ─ ha scaricato 1 milione di barili a Banias. Qui poi, la raffineria lavora il prodotto grezzo e lo trasforma nel combustibile che permette il funzionamento di corrente, riscaldamento, carburanti, nell’area protetta del regime. «Fondamentalmente l’Iran sta alimentando tutto il Paese» ha commentato su Bloomberg Anthony Cordesman del Center for Strategic and International Studies di Washington.

E lo sta facendo gratuitamente. Fornire petrolio senza aver in cambio pagamenti, permette all’Iran di aggirare le sanzioni internazionali secondo cui può vendere greggio soltanto a sei Paesi: Cina, India, Giappone, Corea del Sud, Taiwan e Turchia.

Una situazione complicata. Il dipartimento di Stato americano già dalla scorso estate ha segnalato questi traffici, che sono a tutti gli effetti violazioni delle sanzioni e attività sanzionabili, solo che l’assenza di una linea di pagamenti rende impossibile bloccarli. Qua non ci sono conti bancari da congelare e piste di soldi da seguire: l’unica cosa è fermare fisicamente le petroliere, ma è un’eventualità a tutti gli effetti impraticabile per ovvie ragioni.

@danemblog

(Foto: Bloomberg ─ il viaggio della “Tour 2”, un’altra delle petroliere usate dall’Iran)

 

 

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