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I 90 anni di Napolitano e i maleducati di Stato

A dispetto di tanti e ben altri problemi oggi sul tappeto, più o meno grandi che possano sembrare, dalla questione greca all’immigrazione, dall’estate calda o addirittura rovente di Matteo Renzi, alle prese con le sue riforme in Parlamento e con la perdita di popolarità nel Paese, ai tentativi berlusconiani di rianimare il centrodestra, dalle velleità di una nuova sinistra landiniana, o civatiana, alla resistenza di Ignazio Marino in Campidoglio, dall’esortazione dell’ex dalemiano Claudio Velardi al presidente del Consiglio perché ricambi la “guerra” che gli starebbero facendo i magistrati alla proposta di delegare la segreteria del Partito Democratico all’avvenente Maria Elena Boschi, per non parlare del tormentone di Vincenzo De Luca, sospeso da governatore della Campania, almeno per annuncio, prima ancora di essersi potuto insediare; a dispetto, dicevo, di tutto questo, si rimane costernati davanti allo spettacolo che una certa politica della maleducazione, volgarità, o imbarbarimento, ha voluto offrire anche davanti alla cortese, modesta e persino ovvia decisione del presidente del Senato Pietro Grasso di brindare con una certa ufficialità ai 90 anni del presidente emerito della Repubblica, e senatore a vita, Giorgio Napolitano.

A dissentire, protestare e ironizzare sono stati i soliti dirigenti grillini, annunciando il rifiuto – si spera reversibile – di partecipare alla cerimonia alla quale sono stati anch’essi invitati da Grasso nel suo appartamento di rappresentanza a Palazzo Giustiniani, dove ci sono anche gli uffici di Napolitano. Che vi lavora con molto più impegno e, direi anche, passione di tanti altri colleghi, né di diritto né a vita, che si sentono più degni forse di lui per essere stati formalmente eletti, in realtà nominati dai loro partiti con il metodo delle liste bloccate, e bocciate dalla Corte Costituzionale con una sentenza dell’anno scorso.

Solo una politica becera può rifiutare auguri convinti a chi è stato per più tempo al vertice della Repubblica nei 69 anni della sua storia. Napolitano l’ha rappresentata come presidente per ben 9 anni di seguito, contro i 7 del mandato ordinario, essendo stato l’unico a guadagnarsi la rielezione, senza neppure cercarla, diversamente da alcuni dei suoi predecessori. Che si diedero da fare, persino trescando, per una conferma giustamente mancata, date le circostanze politiche, ma anche le qualità delle persone.

Si può avere pure dissentito da alcuni, e persino da molti passaggi della lunga Presidenza di Napolitano, e anche dalla sua antica e mai rinnegata militanza comunista, da lui archiviata come un’esperienza semplicemente esaurita, ma sarebbe semplicemente disonesto negargli la buona fede e l’onestà con le quali egli ha preso le decisioni anche più controverse, mirando allo scioglimento dei nodi, non certo al loro ulteriore aggrovigliamento. Se poi a questo si è a volte arrivati, ciò è accaduto anche per gli errori e l’incapacità dei governi e delle opposizioni che si sono succedute durante la permanenza di “Re Giorgio” al Quirinale.

Di Napolitano si può ben dire, in occasione degli auguri che i suoi novant’anni si meritano, che è stato il migliore dei presidenti della Repubblica, o secondo solo a Luigi Einaudi, pur provenendo dal partito – quello comunista – che migliore non si può considerare nella storia del Paese, a dispetto della “diversità”, morale e politica, troppo orgogliosamente vantata da un segretario pur onesto quale sicuramente fu Enrico Berlinguer. Che, come è stato appena ricordato nel trentesimo anniversario della morte, cadde sul campo, portando faticosamente a termine a Padova il suo ultimo comizio, però stremato anche dalle sue ostinate chiusure a certi avversari o concorrenti, come Bettino Craxi, e ai progetti di ammodernamento delle istituzioni, e non solo della sinistra. Chiusure alle quali nel suo partito si opponeva proprio Napolitano, pur senza tutta la forza che si aspettavano forse i suoi estimatori all’esterno del Pci.

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