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La Grecia nel labirinto europeo

Roland Barthes (“Miti d’oggi”, Einaudi, 1994) chiamava “neneismo” quella figura retorica che consiste nello stabilire due contrari e nel soppesarli l’uno con l’altro in modo da rifiutarli entrambi (Non voglio né questo né quello). Due contrari sono certamente la furbizia levantina del binomio Tsipras-Varoufakis e il rigorismo ottuso di chi comanda in Europa. Li ho valutati e soppesati l’uno con l’altro. Ebbene, non posso che dichiararmi “neneista”.

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Atene e Bruxelles si sono stupendamente imbottigliate. E dico “imbottigliate” non a caso. Norberto Bobbio si serviva di tre metafore (la cui paternità è però di Ludwig Wittgenstein) per illustrare la vicenda umana (degli individui e dei popoli): il pesce nella rete, la mosca nella bottiglia e il labirinto. Il pesce intrappolato nella rete si dibatte furiosamente nel tentativo di liberarsi, ma l’uscita non c’è e lui non lo sa. La mosca nella bottiglia (aperta, si intende) ne potrebbe uscire, ma volando a vuoto non ci riesce. Nel labirinto l’uscita c’è, ma occorre intuito e pazienza per trovarla. Ci si può chiedere quale sia la metafora che meglio descrive i protagonisti della tragedia (il termine non è esagerato) che sta sgretolando il progetto di Robert Schuman e Jean Monnet. A me il pesce nella rete ricorda il governo greco (il referendum che ha indetto lo conferma), la mosca nella bottiglia ricorda la Commissione Juncker (sempre più una superfetazione burocratica del Consiglio dei capi di stato), il labirinto l’Europa stessa (con leadership che brancolano nel buio, senza memoria del passato, senza visione del futuro e senza intelligenza del presente). All’immagine della rete, che evoca l’azzardo destinato all’insuccesso, o all’immagine della bottiglia, che mette in gioco la cieca sorte, continuo tuttavia a preferire l’etica del labirinto, l’unica che consente di coltivare almeno la speranza che si affaccino sulla scena del Vecchio continente nuovi Teseo e nuove Arianna (classi dirigenti più lungimiranti e più responsabili).

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