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Perché Isis terrorizza anche l’Egitto. L’analisi di Vidino

Lo Stato Islamico sfonda anche in Egitto, nel Nord Sinai, dove miliziani di Bayt al-Maqqdis, il gruppo jihadista affiliato ai drappi neri, ha attaccato nelle scorse ore cinque check point, facendo strage di militari.

Quale strategia si cela dietro questo attacco nei confronti del Cairo? E quali sono le differenze con le recentissime offensive in Kuwait e Tunisia?

Sono alcuni degli aspetti analizzati in una conversazione di Formiche.net con Lorenzo Vidino, docente e direttore del Programma sull’estremismo presso il Center for Cyber and Homeland Security della George Washington University.

Vidino, la bandiera nera dell’Isis sventola ora anche in Egitto, nel Nord del Sinai.

Non è necessariamente merito dello Stato Islamico. In quella regione ci sono da tempo un forte malcontento e una forte presenza jihadista. In particolare, c’è un gruppo autoctono, Bayt al-Maqqdis, che è entrato nell’orbita dell’Isis, che come noto applica la logica del franchising, reclutando bene sui territori dove si infiltra.

Come mai anche Il Cairo è entrato nel mirino degli uomini di al-Baghdadi?

Non deve stupire. L’Isis ha strategia regionale, se non globale, e si appoggia su vari gruppi locali per applicarla, oltre che su un proselitismo realizzato attraverso un uso molto mirato dei media tradizionali e dei nuovi.

Quanto ha contato invece la lotta che Al Sisi sta muovendo ai Fratelli Musulmani?

Ha inciso, certo, ma non eccessivamente. Rende sicuramente più teso il clima. E non è da escludere che qualche elemento isolato della Fratellanza, soprattutto tra i più giovani, possa essere attirato dal messaggio del Califfato. Ma le due cose sono scisse.

Che cosa differenzia e cosa accomuna l’attentato in Egitto all’ultima ondata di stragi nere in Kuwait o Tunisia, ad esempio?

Sono ovviamente differenti nella modalità e negli obiettivi, uguali nel colpire ciecamente qualsiasi obiettivo. Certo, a differenza degli altri c’è anche da dire che l’Egitto ha un governo molto stabile, con un esercito forte. È prevedibile che in futuro la minaccia terroristica crescerà anche lì, ma difficilmente potrà vivere il caos che avvolge oggi Iraq e Siria.

Dunque nessuno può dirsi al sicuro nel mondo arabo?

Bisogna aver chiaro un punto. Ai drappi neri non importa se i loro attacchi colpiscono anche i musulmani stessi. Dirò di più. Siamo di fronte non solo a un conflitto inter confessionale, come s’è detto finora, ma anche inter jihadista. Basti pensare che in questi giorni l’attenzione dell’Isis si sta indirizzando nel colpire i talebani in Afghanistan, così come da tempo colpisce al-Qaeda.

L’Isis è più debole o più forte di un anno fa?

Sicuramente più forte. In molte zone è stazionaria, ma continua a conquistare di volta in volta piccole porzioni di territorio e a fare proseliti, espandendo il suo raggio d’azione.

In Italia in questi giorni fioccano gli arresti ai danni di presunti jihadisti. Saremo noi il prossimo obiettivo, dopo la prima decapitazione in Francia?

Il nostro Paese vede le stesse dinamiche degli altri Paesi, ma in scala minore. Ciò ci ha permesso finora di avere un controllo maggiore rispetto ad altre nazioni, grazie a un maggiore controllo del territorio e a una tradizione di contrasto al terrorismo. Anche il nuovo decreto anti terrorismo va nella giusta direzione. Detto ciò anche qui iniziamo a vedere reclutatori sul territorio, personaggi con i legami giusti con l’Isis. Nulla è dunque da escludere.

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