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Grecia e referendum, ecco perché manca una cultura centrista

Siamo ormai alla vigilia di un referendum popolare molto significativo, sempre che l’autorità giurisdizionale greca suprema lo ritenga costituzionale.
Il popolo greco è peraltro chiamato a pronunciarsi su un insieme di questioni che sono allo stesso tempo interne, europee e internazionali.

Questo insieme di questioni ha evidentemente un impatto molto significativo anche per quanto concerne l’Italia: se fossi cittadino greco chiamato a votare scegliere il ‘sì’, perché questa mi sembra la soluzione complessivamente più coerente con le ragioni che diedero vita al mercato comune europeo; al successivo allargamento alla Gran Bretagna; alla nascita del cosiddetto semipresidenzialismo francese alla De Gaulle; all’ingresso nella Comunità europea di Paesi molto significativi provenienti da esperienze dittatoriali quali la Grecia stessa, il Portogallo e la Spagna; al più recente allargamento a molti Paesi provenienti dall’ex Patto di Varsavia, una volta terminata (almeno istituzionalmente) l’esperienza dell’Unione Sovietica.

Questa lunga digressione storico-politica del processo di integrazione europea che soltanto recentemente è giunto ad una formale Unione Europea rende evidente che non siamo in presenza di una qualche “testardaggine” tedesca attuale, ma di un insieme di questioni che hanno concorso a dar vita e a sviluppare l’integrazione europea medesima fino al momento attuale nel quale la questione di fondo che emerge con forza sempre più dirompente è oggi quella della globalizzazione.

Questa ha infatti riflessi molto rilevanti sia su ciascuna delle preesistenti articolazioni microstatuali (quale è oggi il caso della Grecia, ma non solo della Grecia), sia sulle emergenti realtà nuove di dimensione molto vasta come si può rilevare in particolare nel caso della Russia, della Cina, dell’India e del Brasile.
Il referendum greco vive pertanto sia una specificità ellenica sulla quale è molto difficile poter orientarsi, perché numerose sono appunto le motivazioni di fondo che possono indurre a votare ‘sì’, a votare ‘no’ o anche ad astenersi, sia una particolarità europea che ci riguarda direttamente.

Condizioni finanziarie, economiche, sociali in genere sono le condizioni che spingono verso l’una, l’altra o l’altra ancora delle soluzioni.
Ma si tratta di questioni sulle quali sono chiamati a pronunciarsi i Greci ma che – come è stato ripetutamente affermato – riguardano anche altri Paesi oggi appartenenti all’Unione europea e persino Paesi estranei all’Unione medesima, come risulta con particolare evidenza nel caso degli Stati Uniti d’America, della Russia e della Cina.

Fin dall’inizio pertanto il processo di integrazione ha infatti visto (al di là del nome di volta in volta utilizzato da specifici partiti politici nazionali) una sorta di cultura di centro dominare le culture di estrema destra e di estrema sinistra, così come oggi esso vive una stagione di particolare difficoltà proprio nei confronti di chi contesta in radice l’integrazione medesima.

All’origine di quello che si chiamava “Mercato comune europeo” vi era infatti una sostanziale convergenza tra Schuman, De Gasperi e Adenauer.
Il fatto che oggi non vi siano più eredi politici del primo e del secondo, ma solo allievi e seguaci del terzo fa preferire per l’immediato una soluzione per così dire di centro: questa sembra essere stata all’origine della scelta del governo italiano nel senso di una forte vicinanza ad Angela Merkel, e che rende allo stesso tempo comprensibile (ma per qualche aspetto anche grottesca) la presenza di alcuni esponenti italiani ad Atene il giorno del referendum.

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