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Perché l’America non è liberista sulla Grecia

Atene non potrà sottrarsi dal restituire l’immenso debito che grava sulle sue spalle, anche a costo di ulteriori e pesanti sacrifici. Ma, anche volendo, sarà mai in grado di ripagarlo schiacciata com’è nella morsa di un’austerità che è stata finora applicata, senza però produrre i risultati sperati? È su questo punto che Stati Uniti e i vertici dell’Unione europea sembrano concordare sempre meno.

VISTI DA OLTREOCEANO

Per Ian Bremmer, politologo e fondatore di Eurasia Group, la Grecia e il governo di Alexis Tsipras hanno sbagliato molte mosse in questa fase negoziale, contraddistinta da un “atteggiamento spavaldo e insolente”. Ma se si guarda ai freddi numeri, per Bremmer la Grecia ha di certo svolto i classici “compiti i casa” imposti da Berlino e dalla Troika. “Nel corso degli ultimi cinque anni – ricorda l’analista in un commento sul Corriere della Sera -, la Grecia ha tagliato la spesa e ha incamerato imposte equivalenti al 30% del Pil. Nessun altro governo della zona euro è mai riuscito a fare altrettanto. La riforma ha tagliato sussidi e pensioni” (anche se in questo frangente i creditori vorrebbero ulteriori sforbiciate, come evidenzia il Wall Street Journal, ndr). Inoltre, “l’età pensionabile è stata portata a 67 anni sia per gli uomini che per le donne. E per ogni euro di finanziamenti, il governo greco riceve meno del 20%: il resto va a banchieri e obbligazionisti”. In definitiva, per l’esperto, che riassume il pensiero del Tesoro Usa, ma anche quello di molti economisti keynesiani d’oltreoceano come Paul Krugman, il perdurante tracollo economico greco è un po’ colpa dell’austerità alla tedesca che rende insostenibile di fatto il debito. “La Grecia deve pagare i suoi debiti”, sottolinea ancora Bremmer, ma “sarà in grado di farlo solo quando la sua economia riprenderà a crescere. Ma se la medicina utilizzata per curare i mali di questo Paese costringe alla disoccupazione i suoi giovani, come faranno i greci a imparare la lezione e ricominciare a lavorare?”.

LE STIME DEL FMI

Parole che a Berlino faranno rizzare i capelli a falchi del rigore come la cancelliera Angela Merkel, il ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble e il numero uno della Bundesbank, Jens Weidmann, ma che trovano riscontro anche nelle cifre messe nero su bianco anche da uno dei creditori di Atene, il Fondo Monetario Internazionale. In un’analisi sulla sostenibilità del debito ellenico pubblicata dall’istituzione newyorkese guidata da Christine Lagarde, si mette in risalto come “nella migliore delle ipotesi, ossia che si raggiunga un accordo, che arrivino i prestiti e che si decida persino un haircut del debito esistente, dovrei aspettare fino al 2064 per vedere il mio debito pubblico, ossia il fiato sul collo dei creditori internazionali, scendere sotto l’80%. E per giunta – rimarca in un post su Formiche.net il blogger Maurizio Sgroi – dovendo tenere un avanzo primario almeno al 2,5% del Pil per tutto questo tempo, quando nelle mie orecchie risuonano ancora le polemiche da mercato fra Tsipras e l’Ue per un avanzo primario all’1%”.

L’APPELLO DI OBAMA

Quando si parla di Atene, sembra che l’Atlantico si allarghi di colpo e che Washington e Bruxelles abbiano idee diametralmente opposte. Mentre in Europa, a fronte del No al referendum di domenica scorsa, si fa largo infatti l’ipotesi di un’uscita della Grecia dall’euro, negli Usa è stato il presidente Barack Obama in persona a metterci la faccia per evitare questo scenario, considerato catastrofico per diverse ragioni. “Grexit non è un’opzione”, ha detto il capo di Stato americano. “In poche ore – racconta oggi su Repubblica Federico Rampini – telefona ai principali protagonisti della crisi europea… è costretto a occuparsi di nuovo dell’emergenza greca: come nel 2010, come ne1 2011, come nel 2012… E fa fatica a credere che i leader europei possano essere ancora paralizzati su un dossier che si trascina da cinque anni”.

MORALISMO INCOMPRENSIBILE

Per Rampini, bisogna mettersi dal suo punto di vista. Sul finire del 2008… nel corso del tempestoso passaggio delle consegne Bush-Obama, le due Amministrazioni entrante e uscente, pur odiandosi cordialmente, concordarono in poche settimane un piano da 900 miliardi di dollari per il salvataggio delle banche”, con piani simili a quelli di cui si parla per la Grecia, che “costarono lì per lì più di trenta volte le cifre che oggi sono in ballo per Atene”. Si trattò di salvataggi geograficamente mirati e “a nessuno venne in mente di chiedere l’espulsione del Michigan dagli Stati Uniti”. Non solo. Pare “incomprensibile, per il pragmatismo americano, è la fissazione moralistica contro chi fallisce per debiti”. Fin qui l’aspetto politico ed economico.

PREOCCUPAZIONE STRATEGICA

Ma la preoccupazione di Obama, prosegue Repubblica, oggi è prevalentemente strategica. “Non vuole la Grexit perché teme che una Grecia alla deriva finisca nelle mani della Russia, o della Cina, o di entrambe”. Fu “Winston Churchill alla fine della seconda guerra mondiale a spiegare a Roosevelt l’importanza geopolitica della piccola Grecia, quando vi divampava la guerra partigiana guidata dai comunisti, e intorno c’erano la Jugoslavia di Tito, la Bulgaria e la Romania occupate da Stalin. Da allora gli americani non hanno mai sottovalutato «quegli scogli sul Mar Egeo». Tanto meno possono farlo oggi, mentre vacilla un altro perno dell’alleanza atlantica in quella zona, la Turchia”.

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