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Ferri (Lumsa): “Vi spiego perché l’Europa dei ragionieri non ha futuro”

“Un’Europa che si preoccupa solo di tenere i conti in ordine non va da nessuna parte”. È lapidario e non fa sconti Giovanni Ferri, professore di economia politica e prorettore alla didattica dell’Università Lumsa di Roma. Ferri nel corso del Rapporto Europa presentato a Roma il 9 luglio ha illustrato le sue tesiin un paper dal titolo “Better in than out?”.

Dunque, professor Ferri, meglio dentro che fuori questa Unione monetaria? Per la Grecia e per gli altri…

Il Grexit è un problema che riguarda l’esistenza stessa di un’Europa unita o meno. Un’Europa che pur avendo al proprio interno le possibilità di reagire alla crisi partita sei anni fa mostra il fianco e non riesce a uscirne. Oggi viene al pettine il nodo greco, domani, se si continua con lo stesso approccio, verranno al pettine il nodo italiano, spagnolo, portoghese. Una Ue che non sa rilanciare la crescita economica non ha futuro e prima o poi si rompe.

Lei ci sta mostrando la vicenda da un punto di vista molto poco mainstream. La Grecia che ha mistificato i conti, che ha vissuto sopra le proprie possibilità, non è l’unica colpevole?

Se avessimo fatto questa intervista a luglio 2010 le avrei detto che la Grecia era la maggiore responsabile. Oggi invece le dico che far pagare il debito allungandolo, abbassando i tassi non basta. Bisogna far crescere l’economia per rendere quel debito sostenibile. Se no diventiamo ragionieri che forse riescono a far quadre i conti, ma certamente uccidono l’economia. Insomma, le responsabilità della situazione attuale non sono solo di Atene.

E nel frattempo cresce il partito degli euroscettici. Cosa sta accadendo?

Nel 2000 i sostenitori dell’euro erano soprattutto i Paesi del Sud, adesso il meridione ha perso questo euro-entusiasmo e a sostenere la moneta unica in maniera crescente sono i Paesi nordici. Perché i popoli meridionali non sostengono più l’euro? Perché hanno visto sulla propria pelle le conseguenze di una incapacità politica dell’Unione di uscire da un problema. Lo ripeto, se l’Europa unita non è in grado di far crescere l’economia non ci sono riforme nazionali che tengano. I singoli Stati sono soli e non ce la fanno.

Analisti e gestori di fondi non fanno altro che ripetere che le riforme strutturali degli Stati sono il quid che serve a dare l’accelerata decisiva nell’ambiente rilassato creato dalla Bce e ora lei sostiene che ancora non basta. Cosa manca? 

Ci vuole anche una capacità di generare domanda aggregata, che deve venire da Bruxelles. Le riforme servono ma ci vuole una gestione comune che non deve limitarsi alla ragioneria ma deve esprimere politiche per la crescita. Non serve a niente essere competitivi, avere salari bassi e tutto il corredo di benefit portati dalle riforme se poi non c’è domanda aggregata. Muori lo stesso, non c’è scampo. In Grecia sta succedendo questo, in Grecia come negli altri Paesi meridionali. Schauble e i responsabili della politica dell’austerità dovrebbero essere rinchiusi in un’aula a imparare la teoria generale di Keynes.

Affermazione un po’ forte. Siamo sicuri che non abbiano neppure le basi?…

Se questi signori le avessero saprebbero che c’è un problema di domanda aggregata nell’Europa di oggi. E saprebbero che gli Usa sono usciti dalla depressione economica seguita alla crisi del ‘29, in presenza di una disoccupazione al 25%, con un new deal, creando posti di lavoro, facendo investimenti infrastrutturali e accrescendo così la domanda aggregata. Se i Paesi che hanno la crisi del debito non possono svalutare la moneta, espandere la spesa pubblica e possono solo fare le riforme pro concorrenziali nel Paese, non ce la fanno. Come si creano i posti di lavoro senza domanda aggregata? In Europa i Paesi che sono andati meglio sono stati trainati dall’export cioè dalla domanda aggregata degli altri, non dell’Europa. Anche a noi viene detto esportate di più… ma è irresponsabile. Un’area economica che è tra le principali del mondo non può permettersi di basare la crescita sulla domanda aggregata degli altri.

Ma le politiche di austerity che continua a propinarci la Troika come soluzione ecumenica, non vanno esattamente nella direzione opposta?

La mentalità però è cambiata. Lo dimostra per esempio il piano Juncker che dovrebbe generare 300 miliardi di investimenti soprattutto infrastrutturali. Peccato solo che Juncker parta da 20 miliardi di capitale fresco e per arrivare a oltre 300 faccia riferimento a un moltiplicatore grossolanamente sovrastimato. Cioè: per ogni euro pubblico investito se ne dovrebbero generare 15 investiti da altri soggetti, soprattutto privati. Ma nella fase attuale in cui la depressione ha messo a terra gli spiriti animali non ci sono privati capaci di guardare con ottimismo al futuro e difendersi dai rischi, cioè di fare investimenti. A determinare la domanda aggregata sono soprattutto due cose: consumi interni e investimenti interni. Oggi i consumi languono perché la gente è stata costretta a tirare la cinghia, gli investimenti interni sono caduti perché abbiamo creato con politiche sbagliate un ambiente che invece di promuovere gli spiriti animali, li ha uccisi.

Però alla fine anche il ribelle Tsipras si è adeguato presentando alla Troika un piano lacrime e sangue che sembrerebbe contraddire e disattendere il risultato del referendum. Cosa ne pensa?  

Se due giorni fa mi avesse chiesto se la Grecia fosse uscita dall’euro le avrei risposto di sì. Oggi vedo la proposta di Tsipras come il punto di svolta per riprendere le fila del discorso e virare verso politiche di crescita. Non è che bisogna spendere e basta, ma farlo saggiamente. E non è che la domanda aggregata la devono produrre gli straricchi armatori ellenici, ma il popolo ferito. Anche la Francia si è espressa in questi termini e fatico a pensare a una rottura dell’asse franco-tedesco: senza non c’è più Europa. Quanto al referendum, faticavo a inquadrarlo prima per le sue molte valenze. Ma se oggi l’accordo va in porto, direi che si è trattato di un modo per rafforzare la politica interna. Una mossa politica molto abile che mette alle strette gli oppositori e che quadra con la caduta della testa di Yanis Varoufakis subito dopo l’esito elettorale. Varoufakis l’insolente che è stato rimpiazzato da Euclid Tsakalotos, il capoclasse accomodante.

La Grecia alla fine vuole restare nell’euro, perché con l’euro ha migliori prospettive?

Non è questo il punto perché è l’Europa stessa che deve trovare il modo di stare nell’euro. E in questo modo non ci può stare nessuno, se esce la Grecia escono tutti uno alla volta. Siamo in un vicolo cieco e non se ne esce senza una leadership europea che generi investimenti, sottraendo poveri e giovani generazioni a un destino nefasto.

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