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Renzi, sfide e incognite del taglio berlusconiano delle tasse

Una trovata formidabile, un annuncio tipicamente berlusconiano: nel merito e nel merito. Il governo ridurrà di 45 miliardi di euro in tre anni le imposte, ha detto il premier Matteo Renzi, nel corso dell’assemblea del Pd tenuta a Milano sabato scorso.

IL PIANO BERLUSCONIANO

“Se le riforme andranno avanti e credo che lo faranno, nel 2016 via tutte le tasse sulla prima casa, nel 2017 via una buona parte dell’Ires, nel 2018 scaglioni Irpef”, ha promesso Renzi. Al di là dei dettagli del piano, si cui ci dedichiamo più avanti, è da rimarcare l’intento politico.

MEGLIO PARLARE DI ALTRO…

L’annuncio renziano centra diversi obiettivi. Innanzitutto svia l’attenzione mediatica dai travagli locali del Pd. A partire da Roma, con un Ignazio Marino che Renzi non riesce a rottamare, forse perché non trova una soluzione alternativa se non le urne al più presto possibile. Ma con quale candidato in grado di rintuzzare i grillini, il salvinismo in salsa romana e un Alfio Marchini che può contare al momento su un gradimento di settori di centrodestra?

SVIARE L’ATTENZIONE DA MAFIA CAPITALE E PERIPEZIE DI CROCETTA

Insomma, diamo in pasto il taglio prossimo venture delle tasse Tg e giornali, prima dell’autunno, come invece aveva pianificato il premier, così magari passano in secondo piano Mafia Capitale, le capriole giudiziarie di Vincenzo De Luca in Campania, le fissazioni grilline di Michele Emiliano in Puglia e le traversie di Rosario Crocetta in Sicilia (“sono il primo, vero, rottamatore”, era una delle sue frasi più gettonate).

ATTRARRE MODERATI PER COMPENSARE LE USCITE A SINISTRA

La trovata berlusconiana cerca di anche di attrarre consensi e attenzioni su un Pd sempre più riformatore e sempre meno laburista. Una strategia quasi obbligata visti gli smottamenti a sinistra che ha subito e forse continuerà a subire il Pd. E non solo perché qualche esponente del Pd come Stefano Fassina o Pippo Civati ha lasciato Largo del Nazareno, ma perché per la Buona Scuola e per il Jobs Act una fetta non proprio minuscola di elettorato di sinistra ha deciso che il partito renziano non può essere più il punto di riferimento politico. E guarda al sindacalismo politicistico di Maurizio Landini  e ai Cinque Stelle di Beppe Grillo che, come ha descritto di recente Ilvo Diamanti, facendo da catalizzare a ribellismi di ogni tipo si configura di fatto come partito interclassista, seppure in versione populista.

LA SFIDA (E UN’ACCUSA) AL CENTRODESTRA

Ma nell’annuncio renziano sulle tasse si scorge di fatto una sfida diretta e un’accusa indiretta al centrodestra berlusconiano. Il messaggio implicito di Renzi è questo, in sostanza: cari elettori berlusconiani, vi propongo il maggior taglio di tasse che ci siamo mai stato in Italia perché è la ricetta giusta di cui ha cianciato tanto il vostro caro leader ma che Berlusconi non ha tramutato in fatti. Come dire: volete ancora dare retta allo spappolato centrodestra egemonizzato da Matteo Salvini o non è preferibile il mio sano pragmatismo riformatore? Una bella sfida per il centrodestra.

VIA LA TASSA SULLA PRIMA CASA? BENE, MA…

Beninteso, le perplessità e le incognite dell’annuncio non mancano, anzi sono legittime e pure doverose. Partiamo da “via la tassa sulla prima casa”. L’intera tassazione sulla casa tra Imu e Tasi pesa 23,8 miliardi, ma per abolire la Tasi sulla prima abitazione ne servono 3,8 e sarà necessario trovare risorse alternative per i Comuni già in forte crisi finanziaria. Più facile a dirsi che a farsi. “Anche perché – ha scritto ieri Roberto Petrini di Repubblica – la legge di Stabilità 2016, che dovrebbe contenere l’operazione di riduzione delle tasse, è già un esercizio da equilibristi: la priorità è infatti quella di impedire che dal 1° gennaio del 2016 scatti l’aumento di due punti delle aliquote Iva e delle accise e siccome si tratta di 12,8 miliardi di gettito bisogna assolutamente trovarne 10 attraverso la spending review”.

LA CHIAVE DELLA SPENDING REVIEW

Ecco, la spending review, ovvero la revisione e il taglio della spesa pubblica. Proprio il tema dell’editoriale di Stefano Cingolani per Formiche.net. Se davvero Renzi vuole convincere la Germania e Bruxelles ad ammorbidire modi e tempi del rapporto deficit-pil non può non puntare sulla riduzione della pressione fiscale. L’unica strada da seguire specie con un maxi piano di taglio alle imposte come quello delineato da Renzi per i prossimi tre anni.

I PROSSIMI IMPEGNI GRAVOSI PER LA FINANZA PUBBLICA

Avanti con la spending review, dunque? Ma come? E di quanto? I 10 miliardi indicati al Def (Documento di economia e finanza) saranno di fatto utilizzati per evitare la clausola di salvaguardia (ovvero l’aumento dell’Iva e delle accise) che altrimenti scatterebbe dal prossimo primo gennaio. Inoltre all’orizzonte ci sono da assolvere alcuni impegni di finanza pubblica, ha ricordato ieri Dino Pesole del Sole 24 Ore: “Va comunque garantita la copertura (728 milioni) necessaria  far fronte alla bocciatura da parte di Bruxelles dell’estensione del reverse charge alla grande distribuzione. In più dal 2016 occorrerà individuare la copertura di 500 milioni per gli effetti della sentenza della Consulta sul blocco della rivalutazione delle pensioni 2012-2013. Ed è ancora da definire l’impatto dei termini finanziari della riapertura del confronto con i sindacati sui contratti del pubblico impiego”.

LE TASSE, GLI ANNUNCI DEI TAGLI E LA REALTA’ DEGLI INCREMENTI…

Comunque, in attesa dei fatti oltre gli annunci renziani, grazie all’associazione Unimpresa si può ricordare cosa c’è scritto al momento nei documenti di finanza pubblica. Secondo l’analisi dell’associazione, basata sul Documento di economia e finanza (Def) approvato il 10 aprile dal consiglio dei ministri, nel 2015 le entrate tributarie e previdenziali saliranno a quota 785,9 miliardi dai 777,2 miliardi del 2014; nel 2016 cresceranno ancora a 818,6 miliardi e poi a 840,8 miliardi nel 2017; nel 2018 e nel 2019 arriveranno rispettivamente a 863,2 miliardi e a 881,2 miliardi. Complessivamente, nel quinquennio si registrerà un incremento di 104,01 miliardi (+13,38%). Aumenteranno sia le entrate tributarie sia quelle derivante dai cosiddetti contributi sociali (previdenza e assistenza). Per quanto riguarda le entrate tributarie l’aumento interesserà sia le imposte dirette (come quelle sui redditi di persone e società, a esempio Irpef e Ires) sia le imposte indirette (tra cui l’Iva): le imposte dirette cresceranno in totale di 34,2 miliardi (+14,43%) mentre le indirette subiranno un incremento di 45,5 miliardi (+18,43%). Il sostanziale giro di vite su Irpef, Ires e Iva sarà pari a 79,4 miliardi (+16,36%).

I fatti, e i numeri, sono questi.

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