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Ecco perché la Turchia di Erdogan ora teme l’Isis

Dopo un lungo periodo d’ambiguità, la Turchia di Recep Tayyip Erdogan sta forse per cambiare marcia nel contrasto alla barbarie dell’Isis? Per ora non vi sono certezze. Qualcuno in fondo ne dubita, ma il tono con cui il presidente turco ha affrontato in colloquio il suo omologo americano Barack Obama incoraggia questa percezione, rafforzata da una notizia: ieri Ankara ha annunciato che metterà a disposizione la base aerea di Incirlik, presidio militare dell’Alleanza Atlantica nel sud del Paese, per i raid di bombardamento diretti contro lo Stato Islamico.

LA TELEFONATA

Mercoledì tra i due c’è stata una lunga conversazione telefonica sulla situazione in Iraq e Siria e la lotta contro lo Stato islamico. Un’occasione sfruttata dalla Casa Bianca per ricordare come la sicurezza della regione resti una priorità per gli Stati Uniti, che auspicano di lavorare a stretto contatto con Ankara – membro della Nato a volte un po’ riluttante – su numerosi dossier, soprattutto quello riguardante l’estremismo islamico. Nel corso della telefonata, ha spiegato poi Washington in una nota, per la prima volta, dopo tanto tempo, da Erdogan è giunto un impegno chiaro e non formale ad “arginare il flusso di foreign fighter e garantire la sicurezza al confine della Turchia con la Siria”.

LA BASE DI INCIRLIK

Non solo. Dopo mesi di trattative – riporta Defense One – Ankara ha deciso di consentire l’uso della grande base aerea Nato di Incirlik, che dista soli 120 km dalla Siria e circa 250 miglia da Raqqa, l’effettiva “capitale” dell’Isis nel Paese guidato da Bashar al-Assad. Da qui, gli aerei da guerra Usa, ed anche ai jet britannici, potranno colpire le postazioni dello Stato islamico da una posizione molto più agevole e ravvicinata agli obiettivi (fino ad oggi dovevano percorrere circa 1200 miglia prima di sorvolare le zone di conflitto).

LE AMBIGUITÀ DELLA TURCHIA

In attesa che si passi dalle parole ai fatti, queste parole hanno trovato immediata soddisfazione negli ambienti governativi Usa. In questi anni – ricorda l’agenzia Reuters – “migliaia di combattenti”, occidentali e non, “si sono uniti allo Stato Islamico attraversando” indisturbati “la Turchia”. Il governo turco ha sempre respinto le accuse di collaborazionismo da parte dell’opposizione e degli analisti di politica internazionale, ma gli esperti non hanno mai avuto dubbi in merito. “Erdogan e il primo ministro ad interim Ahmet Davutoglu – ha detto a Formiche.net Lorenzo Vidino, docente e direttore del Programma sull’estremismo presso il Center for Cyber and Homeland Security della George Washington University – hanno sempre mal celato la loro tolleranza nei confronti del movimento jihadista. Da una parte Ankara negozia ormai da anni un accordo con curdi, ma dall’altro però esprime simpatia nei confronti di chi, come lo Stato Islamico, li combatte. L’Isis al momento fa il gioco della Turchia su ben due fronti: contro i curdi, come già detto, e in Siria contro il regime di Bashar al Assad, considerato ostile da Ankara. E il fatto che quello turco sia un governo marcatamente islamista crea infine anche delle sintonie cultural-religiose, per così dire”.

LE RAGIONI

Sul nuovo atteggiamento del “sultano”, lascia intendere il britannico Daily Mail, peserebbero in modo decisivo le conseguenze politiche interne per i trentadue morti e gli oltre cento i feriti dell’attentato suicida avvenuto il 20 luglio scorso a Suruc, a meno di 10 chilometri da Kobane. Un attacco che secondo il governo di Ankara porta chiara la firma dello Stato Islamico, che accresce la paura della popolazione che ha visto il sedicente Califfato colpire per la prima volta in modo così sfacciato nei confini del Paese, guidato peraltro da un governo marcatamente islamista come quello del primo ministro Ahmet Davutoglu, esponente del partito Akp di Erdogan.

IL TIMORE DI ANKARA

Nel caso di questa offensiva l’obiettivo sembra non essere stata Ankara, bensì un gruppo di giovani curdi riuniti nel centro culturale Amara per discutere della prospettiva di una regione autonoma al confine tra Turchia e Siria. Una prospettiva che ha spinto alcuni manifestanti anti governo a ipotizzare un coinvolgimento dei Servizi turchi nella strage (mentre, al contrario, Hurriyet e Haberturk hanno scritto che le autorità erano state avvisate e che i servizi segreti avevano riscontrato l’entrata dell’attentatrice in Turchia insieme ad altri elementi legati all’Isis). Eppure, pensa Vidino, nonostante alcune connivenze e opacità, prima o poi i drappi neri cominceranno a condurre attacchi mirati anche contro lo Stato turco. “Finora gli attentati sono stati visti come un rischio “calcolato”. Ma qualche scaramuccia c’è già stata negli scorsi anni ed è solo questione di tempo. Il passato insegna: la belva è stata nutrita, ma ora che è cresciuta sarà sempre più difficile tenerla sotto controllo”. Un timore che forse inizia a prevalere anche ad Ankara.

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