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Bpm, Bper, Veneto Banca. Ecco come cambieranno le Popolari

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“La riforma delle Popolari rappresenta un punto di svolta: le nuove banche trasformate in spa non saranno più in mano ai soci ma agli azionisti”, così dice a Formiche.net Andrea Di Segni, Head of Corporate Advisory di Sodali, società internazionale con sede a Roma che si occupa di corporate governance advisory, attività assembleare e proxy.

CAMBIAMENTO EPOCALE PER LE DINAMICHE ASSEMBLEARI

“Si tratta – continua Di Segni – di un cambiamento epocale perché le dinamiche assembleari muteranno fortemente. In molti casi, come Bpm o Bper dove già adesso gli investitori istituzionali internazionali hanno ampie quote del capitale sociale, vicino al 40%, gli equilibri assembleari saranno diversi ed il management dovrà confrontarsi con una platea differente e legata a logiche di governance diverse da quelle del cooperativismo”. E il cambiamento -aggiunge – assumerà le sembianze di una vera e propria metamorfosi nel caso delle non quotate come “Veneto Banca o Popolare Vicenza, che a brevissimo saranno catapultate in un mondo completamente diverso senza aver mai approcciato la comunità finanziaria internazionale nel passato”. Le logiche della governance, le aspettative in termini di composizione del board, avere consiglieri eletti dai fondi esteri, i parametri che regolano gli schemi di remunerazione sono tutte tematiche nuove e che richiedono una profonda rivisitazione del rapporto con gli azionisti. “Da domani – prosegue l’esperto – queste società si troveranno un’assemblea che non è più controllata dai soliti soci, individui che la banca conosce bene e che costituiscono una scacchiera ben definita. Se in assemblea il peso degli istituzionali dovesse superare quello dei soci, come atteso nel medio-lungo termine, il management dovrà dotarsi di regole più stringenti, di una governance inattaccabile integrata con la strategia di business e non più esclusivamente basata sulle metriche finanziarie gestite dall’investor relation”.

AZIONISTI (ISTITUZIONALI) PIÙ PESANTI

Un cambiamento epocale che segue quello degli istituti di credito maggiori, che hanno vissuto situazioni complicate e hanno dovuto cambiare approccio rispetto agli investitori. Oggi il 50% delle prime 20 quotate ha partecipazioni di oltre il 50% di esteri. Unicredit, Intesa e Mps sono sopra al 60%. Negli ultimi tre anni il peso degli investitori istituzionali internazionali in assemblea è cresciuto nelle società del Ftse/Mib di oltre il 33% a segnare un maggiore “attivismo” di lungo termine di questa componente. Il rapporto tra detenuto e voti espressi in assemblea (Ratio di partecipazione) è cresciuto progressivamente dall’introduzione della record date e oramai raggiunge i livelli standard dei mercati più sofisticati ovvero 65/75%. Diviene evidente di come il management di queste banche popolari, stand alone o aggregate, non possa non avviare un processo di ridefinizione della governance e soprattutto delle relazioni con gli investitori internazionali.

POPOLARI 2.0 GRAZIE A UNA NUOVA GOVERNANCE EVOLUTA

“Forse è utile sottolineare – continua Di Segni – che queste banche hanno dall’altra parte una grande opportunità ovvero entrare nel mondo dei rapporti con la comunità finanziari internazionale cercando di mantenere quello spirito cooperativo che le ha contraddistinte nel tempo. Un compromesso difficile ma che potrebbe risultare vincente”. Anche perché le Popolari possono contare su una platea vastissima di piccoli soci, 78mila per Ubi, 120mila per Vicenza, 220mila per il Banco, che consentirà loro di avere un plus rispetto alle banche grandi: fare relazione con il retail. ”Tutti questi soci – prosegue Di Segni – sono anche azionisti: l’opportunità è adottare politiche di gestione del retail che sono il 2.0 del credito cooperativo italiano”.

LE FUSIONI POSSIBILI, VENETO AGO DELLA BILANCIA

Si attende una tornata di consolidamento e le dinamiche dell’M&A sembrano piuttosto delineate. Solo Veneto Banca, che peraltro non è quotata, non ha preso una direzione definitiva e non è quotata. Gli analisti indicano che lo status stand-alone potrebbe valere anche 3,5 miliardi di capitalizzazione e potrebbe essere nel Ftse/Mib. Una alternativa potrebbe essere la fusione con Popolare di Vicenza, un’aggregazione che darebbe vita al polo alternativo del Veneto; l’altra possibilità è essere inglobata in una delle grandi spostando il vertice più a Nord. Questa decisione potrebbe essere l’ago delle bilancia. “Sposandosi con Vicenza, infatti, le altre fusioni non potranno che essere quotata su quotata” fa sapere chi è vicino al dossier. Mps invece sembra non essere più in partita per Ubi ed è più affidata all’estero, a qualcuno che si possa permettere di fare uno spezzatino.Rimangono Bpm e Bper, prede appetibili grazie al radicamento capillare sul territorio. Le fresche nomine degli advisor innescheranno nuove dinamiche e a settembre-ottobre la visione sarà più chiara.

RISCHIO USCITA DEI SOCI

L’unico vero rischio che compensa questa grande opportunità è che i soci piccoli in molti casi, non contando più nulla nell’azionariato, decidano di cedere le quote. “Questo è tanto più vero – conclude Di Segni – per le banche non quotate dove i soci in possesso dei tagli minimi ed è altamente probabile che dopo vadano all’incasso in occasione dell’ingresso in Borsa e che al loro posto si assista ad una entrata dei fondi internazionali. In un’ottica di 12/24 mesi ci aspettiamo dei noccioli duri costituti tra soci di riferimento e una componente di fondi internazionali sempre più ampia che necessità di una nuova gestione relazionale fino ad oggi non adottata. Questa è la scommessa principale”.

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